Copenhagen Cowboy è la nuova serie “neon-noir” di Refn, ambientata in un mondo di criminalità oscuro e grottesco
Refn torna alla carica su Netflix con Copenhagen Cowboy, una serie in sei episodi che porta agli estremi le intense atmosfere e le forti tinte al neon del regista danese con una ambientazione ispirata alla sua patria e multi-etnica al tempo stesso. Protagonista Miu, un’enigmatica ragazza che sembra avere poteri paranormali.
Costei si trova in un mondo oscuro popolato da criminali dalle strane intenzioni, e vi si muove in un cerchio di superstizioni, pressioni psicologiche e bisogni umani male espressi che ci vengono tutti presentati a forti tinte rosse e blu (letteralmente), con battute sparute e spesso criptiche e azioni che più volte sembrano non avere un senso.
In una parola: Refn. Chi conosce il lavoro del regista sarà abituato anche ai ritmi estremamente lenti ed ipnotici delle sue narrazioni, al ricorso a musiche synthwave e ad elementi grafici ridotti all’osso come minutaggio ma, quando presenti, forieri di una violenza estrema e cruda a dir poco.
Miu ci trascina in questo mondo che per lei sembra al tempo stesso estraneo e perfettamente confortevole. Non la vediamo mai impaurita nè seriamente in difficoltà nonostante i disagi che affronta, come se questo universo freddo e spietato fosse l’unico che può mai conoscere e nel quale vivere.
Copenhagen Cowboy è in sostanza un lavoro sicuramente divisivo, come sempre è l’opera di Refn: magniloquente, si perde in lunghe sequenze imperscrutabili e in quanto tale va apprezzato più nella forma e nella struttura che nel contenuto e nel messaggio. Probabilmente soddisfacente per i fan del regista, sicuramente lento e tedioso per chiunque altro, comunque una serie originale e caratteristica.