Seppur alcuni titoli svettino e sia quindi impossibile non inserirli in questa lista, non è semplice stilare quale siano i 10 migliori videogiochi del 2022. Se da un lato troviamo grandi nomi con grosse produzioni alle spalle, a fianco ci sono tantissimi progetti indie che ci hanno letteralmente incantato. Quest’anno dovrebbe oltretutto decretare il definitivo, o quasi, abbandono delle console precedenti. Un 2022 quindi decisamente particolare visto che al suo interno non abbiamo praticamente avuto modo di giocare alcun titolo esclusivo per le console next-gen ormai sul mercato da 2 anni.
Con la crisi dei semi-conduttori quasi alle spalle, console e schede video decisamente più facili da reperire, dal prossimo anno inizieremo quindi a vedere (si spera) massicci investimenti che vadano a sfruttare i nuovi hardware abbandonando quindi alcuni concetti legati alle vecchie architetture. Oltre a chiudere questo cerchio produttivo (seppur nel 2023 arriveranno ancora grosse produzioni cross-gen), il 2022 si è rivelato un anno ricco di uscite, di nuove IP e vecchi ritorni, di titoli blockbuster e di vere e proprie sorprese.
Se alcuni giochi erano impossibili da non inserire in questa top di fine anno, alcune posizioni ci hanno letteralmente messi in difficoltà. Seppur attanagliati da una tremenda nostalgia abbiamo lasciato fuori alcuni pesi massimi come Return to Monkey Island (qui la nostra recensione) oppure gli acclamati OlliOlli World e i nostrani The Darkest Tale e Vampire Survivors.
Ecco i nostri 10 migliori videogiochi del 2022
10. Pokemon Legends: Arceus
A cura di Claudio Faccendi
Probabilmente la decisione più difficile ma abbiamo voluto premiare la capacità di questo spin-off di innovare una serie ormai schiava delle proprie dinamiche. Differentemente dai mediocri Scarlatto e Violetto (qui la nostra recensione) Pokemon Arceus inserisce per la prima volta alcuni elementi che, da fan dei Pokemon, volevamo marchiati a fuoco in ogni gioco futuro. Pokemon Arceus (qui la nostra recensione) porta il giocatore su una strada ben delineata dalle macro aree open map lasciandogli sufficiente spazio di manovra e libertà ma senza mai perdere la progressione di gioco.
Il gioco introduce i Pokemon Alpha, versioni potenziate più grandi e aggressive che daranno spesso filo da torcere al giocatore. 5 Boss fight contro i sacri protettori del regno e, come in ogni gioco della serie, lo scontro finale con i vari leggendari. Le creature incontrate nel mondo di gioco sono inserite perfettamente nell’ambiente circostante e interagiscono (seppur minimamente) con esso.
L’aspetto che ci ha colpiti di più però è stato quello di dare al protagonista del gioco un ruolo attivo e non solo un “porta pokeball in giro per la mappa”. Con il personaggio dovremo scansare gli attacchi dei Pokemon selvatici e colpirli con la sfera poké nel momento più opportuno. Anche le boss fight con i 5 protettori si bassano più sulla componente action del titolo dando così un nuovo ritmo al gioco differenziando la parte esplorativa da quella della storia principale.
Un titolo aspramente criticato per la componente grafica (giustamente) ma che nasconde al suo interno una componente ludica sopra le righe. Il titolo Pokemon che ci ha più divertiti negli ultimi 10 anni (escludendo Pokemon Go) doveva, a modo nostro, essere premiato con un posto in questa classifica.
9. Stray
A cura di Matteo Furina
Se vi avessimo detto all’inizio dell’anno che nella top dei migliori videogiochi ci sarebbe stato un titolo indipendente con protagonista un tenero micio rosso, avreste sicuramente riso fino alle lacrime. Eppure è proprio così che è andata. Stray (qui la nostra recensione) nel periodo nel quale è arrivato sul mercato è diventato un fenomeno mondiale con pochi paragoni calcolando la categoria di peso a cui il gioco appartiene. Ma lo ha fatto per un motivo semplice: è davvero un ottimo gioco.
Una storia interessante e piacevole da seguire. Certo non l’idea del secolo con robot che vivono in una città distopica con il cielo oscurato (se avete un senso di dejavu è più che normale), tuttavia realizzata con gusto e in modo da farsi seguire per tutta la sua seppur modesta durata. Un gameplay fresco e divertente che riesce a variare e a non annoiare mai il giocatore. Anche qui, avreste mai potuto immaginare di leggere una frase del genere accostata da un gioco in cui un gatto arancione miagola e sale sui tetti? Noi no, però è davvero così.
Stray gode infatti di una pluralità di azioni possibili, di colorate ambientazioni e citazioni che rendono davvero impossibile annoiarsi e fanno dimenticare che si sta giocando con un semplice animaletto da compagnia senza particolari skills. Leggere Stray accanto a nomi come Elden Ring o God of War potrebbe ovviamente far sorridere e far alzare qualche sopracciglio. Tuttavia è innegabile che sia uno dei giochi meglio riusciti dell’anno; uno di quei titoli che ha deciso cosa fare fin dall’inizio e lo ha fatto bene senza incaponirsi nel voler creare qualcosa di troppo oltre che avrebbe appesantito inutilmente il tutto. Un gioco divertente, scorrevole che vista anche la breve durata di circa 6 ore dovrebbe essere provato e apprezzato da tutti. Vedere per credere.
8. Sifu
A cura di Claudio Faccendi
Altro titolo indie che ha, fin dal suo debutto, fatto incredibilmente parlare di sé. Sifu (qui la nostra recensione) è una perla per una serie di motivi che si fondono perfettamente tra loro. La base su cui il gioco prende vita è quella di Absolver (titolo precedente dei francesi Sloclap), derivazione dei vecchi beat’em up basati sul combattimento corpo a corpo. Lo stile grafico, minimale ma ricco di particolari, è perfetto per un gioco che si fonda sulla cultura cinese, tra tradizione e modernità, tra colori vividi misti al grigiore del degrado cittadino.
Quello che colpisce principalmente di Sifu è la sua profondità di gameplay. La notevole difficoltà è senza alcun dubbio parte fondamentale dell’opera, una vera e propria esegesi del kung-fu. Proprio come la disciplina cinese anche il giocatore dovrà provare e riprovare per affinare la propria capacità combattiva e assimilare il tanto semplice quanto complesso sistema di combattimento.
Perfino la capacità di tornare a combattere una volta sconfitti perdendo anni di vita è un richiamo alla cultura delle arti marziali. Tanto più provi e fallisci tanto più migliori, e in questo percorso l’età aumenta e così anche la conoscenza e la saggezza. Una vera e propria sorpresa che finisce di diritto tra i 10 migliori giochi del 2022.
7. A Plague Tale: Requiem
A cura di Francesco Buffa
A Plague Tale: Requiem (qui la nostra analisi) è il sequel di Asobo Studio all’acclamato primo capitolo della saga uscito nel 2019. Gli sviluppatori francesi si sono guadagnati un posto da protagonisti quest’anno, producendo un titolo che supera il precedente in ogni sua forma. A Plague Tale: Requiem è stato lodato da giocatori e critica, conquistando addirittura la nomina a Game Of The Year insieme a produzioni enormi del calibro di Elden Ring e God Of War: Ragnarok.
Il nuovo videogioco di Asobo Studio è impressionante dal punto di vista grafico. Si serve infatti di tutti gli avanzamenti tecnologici delle console di nuova generazione, dipingendo un mondo curato in ogni dettaglio. Nel giro di tre anni gli sviluppatori sono riusciti ad espandere considerevolmente il respiro del gioco e della Francia medievale che è teatro delle vicende narrate nella trama. Il gameplay di A Plague Tale: Requiem è molto più avanzato rispetto a quello del suo predecessore. Al giocatore viene lasciata molta più libertà di scelta su come affrontare le difficoltà presenti nei vari livelli. Non siamo costretti a muoverci furtivamente fra arene popolate di nemici ma possiamo anche adottare un approccio più aggressivo. Le nostre azioni verranno prese in considerazione dal gioco, che ricompenserà il nostro stile con abilità adatte alle nostre preferenze.
La manipolazione della luce rimane il punto centrale del gameplay. Come in A Plague Tale: Innocence, l’abilità di controllare le fonti di luce ed utilizzarle a nostro vantaggio sarà una parte fondamentale dell’esperienza di gioco. Stare in luoghi illuminati sarà importante per sopravvivere e potremo utilizzare le ombre per sbarazzarci dei nostri nemici, facendoli divorare dalle temute orde di ratti. A Plague Tale: Requiem prosegue la narrazione interrotta con il finale del primo capitolo del 2019, quando Amicia e Hugo erano partiti insieme alla madre Beatrice e all’amico Lucas per ricominciare una nuova vita dopo aver sconfitto l’Inquisizione Francese. Il piccolo Hugo avrà una visione nella quale si trova in un’isola dove una fenice lo guiderà verso uno stagno che lo libera dalla sua malattia.
Il sogno sarà il punto di partenza della nuova avventura dei fratelli De Rune, che si recheranno nell’isola di La Cuna per poter liberare Hugo dalla Macula. Gli eventi però precipiteranno presto e i due protagonisti scopriranno che l’isola nasconde gli orrori all’origine della malattia che affligge Hugo. Il finale ci colpirà emotivamente con una serie di eventi che concluderanno in modo definitivo la storia iniziata in A Plague Tale: Innocence. Se apprezzate i titoli con una forte componente narrativa non possiamo fare altro che consigliarvi di giocare al nuovo titolo di Asobo Studio. Il commovente viaggio di Amicia e Hugo che si snoda in entrambi i titoli vale la pena di essere vissuto.
6. Bayonetta 3
A cura di Andrea Baiocco
Che magia, che scontri, che danza letale quella di Bayonetta 3 (se ve la siete persa, ecco la nostra recensione di Bayonetta 3), l’ultimo action di Platinum Games fresco fresco di vittoria ai The Game Awards 2022 come miglior titolo del suo genere. Ed effettivamente, le ragioni di questo successo sono abbastanza comprensibili: boss fight immense (forse anche troppo immense in certi casi, dove si rischia di non riuscire a seguire il combattimento e gli attacchi dell’avversario), combat system illimitato e in ultimo, la possibilità di evocare e controllare i demoni in battaglia dando vita a situazioni ai limiti dell’assurdo per immersione e divertimento.
Bayonetta 3, segna forse uno degli ultimi canti del cigno di Nintendo Switch ma lo fa con tantissimo stile per ergersi come la regina indiscussa degli stylish action made in Platinum. Perennemente sopra le righe, coreografica e provocante, la Strega di Umbra ci ha sedotti ancora, per la terza volta di fila, e noi non potevamo fare a meno di abbandonarci tra le sue braccia.
5. Xenoblade Chronicles 3
A cura di Federico Bellucci
Con l’ultima fatica dei Monolith Soft riprende gli stilemi del precedente capitolo e li eleva praticamente in tutto. Il colpo d’occhio è stato curato in modo impeccabile al pari passo della componente tecnica, quasi fantascienza considerando la console su cui gira. Un gameplay stratificato che abitua il giocatore alle proprie meccaniche che risultano pirotecniche ed estremamente versatili. Sbalorditivo il bilanciamento delle varie tecniche che possono essere utilizzate in ogni circostanza senza mai dover propendere forzatamente su l’una o l’altra ma solamente in base allo stile di gioco del giocatore.
La trama torna agli albori abbandonando in parte lo stile shonen (manga/anime giapponesi che hanno come target ragazzi adolescenti) per facendo così spazio a dinamiche più complesse e adulte. Al suo interno sono riusciti a far confluire, in modo perfetto, le loro vecchie saghe, Xenogears e Xenosaga, alzando incredibilmente l’asticella della scrittura strizzando l’occhio ai più accaniti fan della famigerata software house. Tutto questo collegando i due titoli precedenti tramite una strada ben definita che sfocia in un’esplosione finale di dinamiche narrative che richiamano la complessità di opere come Neon Genesis Evangelion (con le dovute misure).
I protagonisti, sempre in chiave adolescenziale, vengono ben approfonditi seppur tramite alcuni classici cliché. Il roaster dei personaggi riprende a piene mani lo splendido lavoro fatto dalla saga Persona, dove ognuno è indispensabile alla fruizione dell’opera. Altra protagonista è senza dubbio la componente musicale, punto focale dell’intera opera. Xenoblade Chronicles 3 diviene quindi più complesso del suo precedente (gran gioco programmato palesemente di cuore) e decisamente più ragionato. Ogni tassello trasuda uno studio incredibile per connettere ogni personaggio, elemento di gameplay, musica e grafica come fossero colori dello stesso quadro.
4. Tunic
A cura di Andrea Baiocco
Non bisognerebbe mai smettere di parlare di Tunic (qui la nostra recensione), l’action adventure interamente sviluppato da Andrew Shouldice che ha visto la luce, dopo anni e anni di duro lavoro, nel 2022 su Pc, Xbox, Playstation e Nintendo Switch. Tunic è un’immensa lettera d’amore al nostro medium preferito, un amore che riesce a evocare i bei tempi passati quando, prima di avviare una nuova partita, si leggeva ogni riga del libretto delle istruzioni inserito nella confezione del videogioco che avevamo appena acquistato (il libretto qui è all’interno dell’opera stessa, da recuperare in game una pagina alla volta).
Insieme a Elden Ring, è probabilmente il titolo con il maggior senso di scoperta del 2022: ogni azione, ogni spostamento all’interno di quel diorama delle meraviglie che ospita le pericolose terre che la volpe protagonista deve necessariamente esplorare, è un salto verso l’ignoto. Cosa ci riserverà quella prossima stanza? Quali pericoli, boss fight incontreremo e che ricompense riceveremo? Tunic è uno dei giochi più sorprendenti di questo ultimo anno, da vivere tutto d’un fiato.
Attenzione però: è possibile che dobbiate chiedere aiuto al gigantesco mondo dell’internet per risolvere un particolare enigma o per individuare il giusto percorso da seguire. Pensate che, in sede di recensione, venne creato un gruppo discord per i redattori per permettere loro di darsi una mano a vicenda e condividere utili informazioni per procedere nell’avventura.
3. God of War Ragnarok
A cura di Andrea Baiocco
L’ultima fatica di Santa Monica Studio è estremamente difficile da valutare, soprattutto se consideriamo God of War Ragnarok come la conclusione del ciclo norreno di Kratos e Atreus (secondo noi no, ma vedremo). Da una parte, l’opera di Eric Williams e del suo team di sviluppo è magistrale. Sul fronte del gameplay, troviamo un combat system profondo, stratificato ma non per questo meno divertente e accessibile, che si lega con forza alla possibilità di costruire vere e proprie build incentrate sul potenziamento di specifiche statistiche a discapito di altre. Inoltre, i Nove Regni riescono a instaurare nel giocatore quella voglia di esplorazione, come solo i migliori action-adventure riescono a fare.
Ed è proprio quando Ragnarok si separa dalla campagna principale, aprendo il giocatore al mondo di gioco e alle sue innumerevoli quest secondarie, che l’esclusiva Sony riesce a esprimere il meglio di sé. Dall’altra parte, infatti, come scritto nella nostra recensione di God of War Ragnarok, abbiamo notato delle debolezze dal punto di vista narrativo, principalmente, ma non solo, nella lenta gestione del ritmo del racconto: nella prime dieci ore di gioco circa, la storia fatica a ingranare, procede con il freno a mano tirato, rompendo in parte quell’immersione che avevamo avuto con il capitolo del 2018, un’immersione capace di attaccarti alla sedia per diverse ore di fila. La scelta poi di fare di God of War Ragnarok un’opera corale, con tantissimi personaggi tutti ben delineati dal punto di vista emotivo e della personalità, è pregevole e ambiziosa.
Tuttavia, la natura stessa del prodotto, un videogioco, non riesce a far evolvere, come avremmo voluto vedere, la loro storyline personale. Si finisce così per non sfruttare al meglio il potenziale di ogni Dio Norreno e non che compaiono in Ragnarok, ognuno dei quali meriterebbe un dlc stand – alone per l’interesse che sono riusciti a generare.
2. Elden Ring
A cura di Claudio Faccendi
Come ogni opera della famigerata From Software anche Elden Ring (qui la nostra recensione) (qui la nostra non-recensione) è stato accolto dai giocatori di tutto il mondo con un hype smisurato. Il titolo sviluppato a quattro mani tra Hidetaka Miyazaki e lo scrittore George R.R. Martin è sicuramente il gioco più discusso dell’anno. Nei panni di un Senzaluce i giocatori dovranno attraversare le terre e le insidie di una terra profondamente corrotta e divisa tra minacciosi lord e casate.
Come di consueto la lore del titolo non viene spiattellata in faccia al giocatore ma sciolinata pian piano tramite i pochi dialoghi, l’ambiente di gioco, alcuni oggetti e i sanguinari combattimenti. Elden Ring non fa sconti, seppur l’asticella della difficoltà sia decisamente più bassa rispetto ai capostipiti, e butta il Senzaluce in un open world disegnato ad arte. Il giocatore dovrà quindi intraprendere questo viaggio sconfinato senza alcun consiglio, o pochissimi, andando a tastoni da un’ambientazione all’altra, da un boss all’altro.
Alcuni di essi sono tra i più ispirati di sempre mentre altri, purtroppo, una riproposizione di vecchie conoscenze con moveset praticamente identici al passato. Seppur il design dell’open world e del gameplay siano praticamente perfetti, il gioco non risulta perfetto a causa di alcuni vecchi difetti (come la telecamera non sempre precisa, soprattutto nei luoghi stretti) e di nuovi, come il pessimo quest tracking praticamente inesistente che porta il giocatore a doversi informare necessariamente su internet per proseguire. Una filosofia di open world simile a quella vista con Zelda Breath of the Wild in cui è il giocatore a scegliere la propria strada e come portarla a termine.
I diversi finali, il multiplayer (rinnovato dal recente DLC) e lo sterminato mondo di gioco, rende Elden Ring un prodotto incredibilmente longevo, piacevolissimo da esplorare e rigiocabile con diverse build e dinamiche. Un titolo incredibile che sicuramente rimarrà negli annali.
1. Horizon Forbidden West
A cura di Andrea Campana
Eccoci arrivati a quello che secondo noi è il numero uno tra i 10 migliori videogiochi del 2022. Tra tutte le cose che il secondo gioco della saga di Horizon Forbidden West, cerca di fare, una è quella di sicuro che emerge di più: interpretare i suoi tempi, pur ambientandosi più di un millennio dopo. Il messaggio è uno: bisogna stare uniti, far fronte comune, cercare un punto d’incontro e unire le forze per evitare il disastro.
Che non è solo un disastro ambientale, come quello che effettivamente si verifica nella lore di Horizon e che poi nel 3040 sta per abbattersi nuovamente sulla Terra, in forma ancor più minacciosa. Ma è anche e soprattutto il disastro del crollo di una civiltà per un semplice problema di mancata comunicazione e collaborazione.
Aloy, lancia in resta e arco teso, è la prima ma non l’unica a capire l’essenzialità di questo problema: ed eccola che si avventura in terre selvagge e sconosciute, tra mille pericoli, macchine letali e tribù sanguinarie, perché spinta dalla necessità di un ideale più grande, che non è retorico: o si inizia tutti quanti a collaborare, subito, o è la fine.
E i risultati dell’alternativa li vediamo nei comportamenti degli Zenith, i villain del passato relitti della civiltà umana al suo apice: meschini, misantropi, violenti, sadici persino. Il volto del consumismo e della tecnocrazia spinti all’eccesso, che ci viene mostrato anche in versione ben più grottesca dalla sorte di Ted Faro.
E sta quindi al giocatore, che muove Aloy, riunire i popoli rimasti sulla Terra verso un difficile ma possibile dialogo: il messaggio è positivo e la spinta è progressista, passando per l’emancipazione di figure femminili forti ma anche di personaggi maschili finalmente umili e savi, di capi avveduti e capaci di guardare al bene comune e di nuovi scienziati, ricercatori e curiosi che mirano a costruire un nuovo mondo che funzioni.
Come si riflette tutto questo nel gameplay di un open world tripla A? Più che bene. Aloy è libera di esplorare spazi vastissimi, realistici e dalla resa grafica convincente (per non parlare dei numerosi luoghi reali ripresi pari pari in versione post-apocalittica), dedicandosi alle più differenti attività con esplorazione di una lore articolata e approfondimenti su vicende umane di ogni tipo.
Pregevole in particolare, rispetto ad Horizon: Zero Dawn, il focus su un gruppo di comprimari (compreso l’enigmatico Sylens) dai caratteri differenti e cesellati, personaggi tridimensionali che conferiscono al gioco tutto uno spessore particolare. Ma non è tutto qui: i punti di forza sono anche altri, come il combat system sempre più eclettico e i nemici (le macchine) sempre più variegati.
L’atmosfera del gioco, alla quale contribuiscono tutta una vasta gamma di elementi e dettagli curatissimi, è unica e immersiva; si arriva a coinvolgere il giocatore nell’importanza delle vicende e nella complessità dell’azione senza scordare momenti leggeri, passaggi autenticamente inquietanti e scene davvero memorabili. La vera domanda è una sola: riuscirà Horizon 3 a fare ancora meglio?
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