In un video condiviso sui social Thomas e Victoria dei Maneskin spaccano i loro strumenti a fine esibizione. E gli utenti insorgono: “Ho comprato una chitarra a mio figlio per Natale. Questa cosa è penosa”. Che ne pensate voi?
Qualche giorno fa i Maneskin hanno pubblicato sui social (qui sotto) un video e una serie di foto che li ritraggono nell’atto di demolire i loro strumenti a fine concerto a Las Vegas. Hanno scritto: “Dunque, non è andato tutto come pianificato e forse ci siamo spinti un po’ troppo in là … ma l’abbiamo amato!”, in riferimento alla chiusura del loro tour nordamericano, a questo punto perlomeno memorabile.
E mentre la stampa italiana ed estera seguita a fare il confronto con gli Who, sotto il post su IG si possono leggere i commenti indignati di una miriade di utenti che lamentano come il gesto di Thomas e Victoria, che frantumano chitarra e basso rispettivamente spaccandoli sul palco, sia “patetico”, “vecchio” e “penoso”.
Presto però questi gesti hanno preso piede e specialmente nell’intemperante rock inglese: lo si vede nel film Blow Up di Michelangelo Antonioni (1966), che cattura un’esibizione degli Yardbirds nella quale a rompere la sua chitarra è Jeff Beck, un chitarrista certo non noto quanto Townshend per gesti del genere: in questo caso, chiaramente, è la teatralità del momento a richiederlo.
E, passando per i Nirvana e arrivando fino ad oggi, non sono stati abbandonati. E non parliamo necessariamente di rock rabbioso e ribelle. Non troppo tempo fa anche Phoebe Bridgers aveva spaccato la sua chitarra in un’esibizione in televisione: in quella occasione un’eminenza del rock come David Crosby l’aveva criticata, venendo immediatamente ridicolizzato come “white old man” piagnucolone.
A parte che qui si pone la solita questione riguardante i social e, più in generale, i fenomeni del nostro tempo: non vi piace una cosa? Non seguitela? Non vi va questa musica? Non ascoltatela. Il bisogno spasmodico di lamentarsi e di attaccare qualcuno come al solito la fa da padrone in un clima social sempre più tossico e stringente: tutti devono dire la loro e guai a chi pensa il contrario.
E cosa c’è dietro queste critiche? Necessità di difendere la purezza del rock, bisogno di fare retorica benealtrista o pura e semplice invidia? Prospettive che insistono a non soffermarsi su come questi ragazzi stiano esportando un fenomeno musicale italiano nel mondo con successo, gimmick o meno. In quanti ci sono riusciti? Quindi, per una volta: vogliamo guardare il beneamato bicchiere mezzo pieno, e lasciarli fare la loro musica?