Il primo novembre 2019, ormai tre anni or sono, Apple ha lanciato il suo player. Il mercato era in continua espansione e le fette delle torta, in prevalenza, se le stavano spartendo Netflix e Prime ed erano così grosse che lì a Cupertino, California, hanno pensato che fosse una buona idea partecipare alla festa. Ed ecco allora Apple TV+ e una lista di 5 serie che, se non avete visto, dovete assolutamente recuperare.
Ted Lasso
Con ogni probabilità Ted Lasso è il fiore all’occhiello di Apple TV+. Ted Lasso è una comedy che ha il pregio di saper dosare con parsimonia momenti comici e momenti smielati. Il marchio qualità sulla serie ce lo mette Bill Lawrence, il suo creatore, che tra i tanti meriti ha quello di aver partorito una comedy diventata cult come Scrubs. Non è un caso che lo stesso Lawrence abbia poi chiamato il suo pupillo Zach Braff (J.D. di Scrubs) a dirigere alcuni episodi dello show consentendogli di guadagnare anche una nomination agli Emmy per la miglior regia.
Il ruolo del protagonista è interpretato da un impareggiabile Jason Sudekis (co-creatore dello show insieme a Lawrence ), che da tre anni a questa parte cannibalizza Emmy Awards e Golden Globe vincendo puntualmente come miglior attore protagonista. Ted Lasso piace tanto perché è una serie diretta a un pubblico trasversale chesa far ridere e piangere, commuove e diverte passando con la leggerezza che solo i grandi autori hanno, da un registro all’altro. Era il marchio di fabbrica di Scrubs, è il marchio di fabbrica di Lawrence.
The Morning Show
The morning show è una di quelle poche serie che possono permettersi di schierare un cast all-star e non uscirne fagocitata dalla presenza ingombrante dei suoi stessi fuoriclasse. Il trio protagonista della serie è composto da Jennifer Aniston, Reese Whiterspoon e Steve Carrell, ma poi anche Bill Curdrup (Almost Famous, Big Fish, Watchmen, Il caso Spotlight), Mark Duplass (Manhunt: Unabomber, Bombshell, Paddleton) e così via.
Ne abbiamo visti di peggiori insomma. La serie racconta il dietro le quinte di un popolarissimo notiziario del mattino, il Mornig Show per l’appunto, da cui l’inevitabile paragone con l’acclamata The newsroom di Aaron Sorkin. Fin dall’inizio ha fatto molto parlare di sé per i temi trattati: la prima stagione è incentrata sull’allontanamento del personaggio di Steve Carell per molestie sul lavoro. Mitch Kessler, co – conduttore dello show insieme ad Alex Levy (la Aniston), è osannato e venerato, così quando gli piovono le accuse di molestie, assistiamo a una caduta fragorosa.
La forza di The Morning show sta nel non cavalcare acriticamente e furbescamente il movimento #MeToo, ma di offrire uno sguardo sulle dinamiche più subdole che una molestia può assumere, infliggendo le ferite più profonde. I personaggi non sono manichei ma pieni di sfumature. Non ci sono i buoni da un lato e i cattivi dall’altro: la realtà non è bianca o nera. Anche la season 2, interamente incentrata sul covid, fotografa la realtà in maniera cinica e chirurgica senza mai cedere alla tentazione di strizzare l’occhio a un certo tipo di faciloneria. Le prove della Reese Whiterspoon e della Aniston sono incredibili, ma non sono da meno Carrell e tutti gli altri. Una serie importante che sicuramente dà lustro al bouquet dell’offerta Apple.
Severance
Arrivata in Italia lo scorso febbraio con il nome di Scissione, Severance ha stregato tutti da subito. È come se The office e Black Mirror avessero avuto un figlio insieme. La serie è prevalentemente ambientata nell’ufficio della Lumon Industries e ha una premessa distopica: è stata inventata una procedura che permette ai dipendenti di dividere in compartimenti stagni la propria vita, la propria percezione e la propria memoria.
In pratica, i dipendenti, nel mettere piede in ufficio, non hanno memoria della loro vita al di fuori di lì e viceversa: è una misura cautelare che consente di proteggere i dati sensibili della compagnia. Ovviamente il trattamento è indolore e assolutamente volontario. A popolare l’ufficio, volti del calibro di Adam Scott (Parks and Recreation, Big little lies), John Turturro, Patricia Arquette (Broadwalk Empire, Escape at Dannemora) e Christopher Walken. La serie avrebbe dovuto arrivare prima ma poi c’è la stata la pandemia e la sua uscita è stata posticipata. Questa stop forzato paradossalmente ha aiutato la show perché dopo due anni di covid e lockdown la percezione di ciò che è reale e ciò che è pura distopia è decisamente più labile per noi spettatori.
Severance è un viaggio che ci viene offerto da Dan Erickson (il creatore dello show) e Ben Stiller (produttore e regista di gran parte degli episodi) al termine del quale qualcosa ci ha disturbato, ma non sappiamo cosa. Una serie importante, sicuramente tra le migliori di quest’anno.
Slow Horses
Dall’omonimo romanzo di Mick Herron datato 2010, lo scorso aprile è arrivata su Apple Tv+ la prima stagione di Slow Horses, serie adattata per il piccolo schermo da Morwenna Banks e Will Smith e diretta da James Hawes e Jeremy Lovering. Da qualche settimana è arrivata anche la seconda stagione che, a detta di molti, è anche più della prima.
Nel cast spicca il nome di Gary Oldman che interpreta il capo della Slough House, letteralmente “la casa del pantano”, ovvero un costola dell’MI5 (i servizi segreti inglesi). Oldman dirige una squadra di agenti di serie B retrocessi in questo pantano per demeriti sul campo o perché, molto semplicemente, sono meno capaci degli altri. Sono questi gli.Slow Horses, ovvero i cavalli lenti, quelli in cerca di riscatto, di una seconda chance come l’agente Cartwright (Jack Lowden).
Slow Horses non ha niente di rivoluzionario o clamoroso, ma è una serie scritta bene, dritta e solida, girata bene e recitata meglio e, insieme a Severance, è una delle serie migliori uscite quest’anno: un ottimo risultato per Apple che piazza sul podio due cavalli tutt’altro che lenti della sua scuderia.
Little America
Little America è la quota underdog di questa cinquina. Una serie antologica che prova a raccontare un tema difficile come quello dell’immigrazione in America. L’ idea vincente dello show è il modo in cui questo racconta di volta in volta le singole storie perché gli immigrati di Little America non sono né gli stupratori, ladri che vengono a rubare il lavoro a casa nostra come una certa destra di matrice trumpiana è solita descriverli, ma non sono nemmeno agiografie.
Le storie sono fatte da persone normali, con i loro sogni, le lori aspirazioni e le loro paure. Una serie che, indipendentemente da come la si pensi su una questione così calda e delicata come quella dell’immigrazione, cerca di non giudicare e si limita a mostrare in punta di piedi. Una cosa molto interessante è il fatto che alla fine di ogni puntata vengano mostrate le persone reali a cui le storie sono ispirate. Da poco è uscita la seconda stagione che sembra viaggiare sulla stessa falsa riga della prima. Una serie interessante e intelligente, capace sempre di schivare i tranelli di una tematica così complessa riuscendo ogni singola volta a non fare di tutta l’erba un fascio, in un senso o nell’altro.