Su Netflix è appena arrivato Pinocchio, reinterpretazione animata del celeberrimo burattino di Carlo Collodi realizzata da Guillermo Del Toro. Si tratta della prima opera di questo genere del cineasta messicano che ha deciso di utilizzare la tecnica stop per mettere in scena una delle versioni visivamente più accattivanti della lunga storia del burattino che vuole diventare un bimbo vero. Un film nel quale il regista Premio Oscar per La Forma dell’Acqua ha creduto fortemente, reinterpretando la storia e i personaggi che così tanto abbiamo amato nel corso degli anni. E questo è incredibilmente visibile in ogni singolo fotogramma di questa meravigliosa opera. Ecco dunque la nostra recensione.
Pinocchio: il Trailer
Pinocchio: il Cast
Gregory Mann: Pinocchio, Carlo
Ewan McGregor: Sebastian il Grillo
David Bradley: Geppetto
Ron Perlman: Il PodestÃ
Tilda Swinton: Spirito del Bosco, Morte
Christoph Waltz: Conte Volpe
Cate Blanchett: Spazzatura
Tim Blake Nelson: Conigli neri
Finn Wolfhard: Lucignolo
John Turturro: Dottore
Burn Gorman: Prete
Tom Kenny: Benito Mussolini
Pinocchio: la Trama
La trama di questa revisitazione di Pinocchio si svolge nell’Italia fascista. Qui Geppetto, un vedovo falegname, viva in sofferenza per la perdita del figlio Carlo, morto a seguito di un bombardamento durante la Grande Guerra. Una sera, ubriaco, abbatte un albero vicino alla tomba del figlio e da quel legno, costruisce un burattino che possa sostituire il figlio.
Una fata, accorgendosi che l’anima di Carlo si è reincarnata nell’albero, gli dona la vita, lo chiama Pinocchio e istruisce il grillo che viveva al suo interno, Sebastian, di fare da guida al giovane burattino. Geppetto è ovviamente sorpreso di ritrovarsi di nuovo con un figlio in casa, ma Pinocchio che nota nel suo creatore una certa malinconia in quanto sta rimpiazzando Carlo parte in giro per il mondo per imparare ad essere un figlio migliore per il suo genitore.
Pinocchio: La Recensione
Quando si cerca di rivisitare vecchi classici della storia del cinema e della narrativa quale può essere Pinocchio, il rischio è sempre quello di non trovare il giusto equilibrio tra ciò che oramai sedimentato nella cultura pop e ciò che è invece è innovaziione. Quando dunque Guillermo Del Toro aveva rivelato di voler ambientare la sua personale storia del burattino di Carlo Collodi nell’Italia Fascista, in molti avevano storto il naso. Tuttavia quando un regista così talentuoso e appassionato decide di dare vita a una sua idea sincera e che scaturisce dalla sua fiabesca visione del mondo, non bisogna dubitare.
Del Toro infatti ci racconta una storia che con quella classica ha davvero poco in comunque, se non per i nomi, un burattino protagonista e il pescecane gigante che divora tutto. Ma, per assurdo che possa sembrare, trova proprio in questo la sua magia. Il cineasta messicano ci fa infatti vedere la storia con i suoi occhi, ci porta mano per mano nel suo mondo fatato e ci fa dimenticare di qualsiasi altra versione di Pinocchio. Come spesso gli è capitato in carriera, lui non vuole raccontare solamente una vicenda, lui vuole farcela guardare con i suoi occhi. E ancora una volta, fa centro.
C’è da dire tuttavia che sebbene questa storia sia molto lontana da quella del classico Disney che tutti amiamo, ha punti in comune fortissimi con la storia originale di Collodi. Il protagonista è infatti un “bambino” maleducato, disobbediente e pestifero che mette nei guai il babbo Geppetto ma che col passare del tempo riesce a capire e a discernere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato. Questo elemento è uno dei capisaldi della personalità del Pinocchio del romanzo che però va affievolendosi sia nel classico animato del 1940 che ancor di più nel terribile live action di Robert Zemeckis di quest’anno. Anche il fatto che a Pinocchio vadano a fuoco i piedi senza che lui senta nulla è una citazione presa direttamente dal romanzo che non potrà che far felici i lettori di vecchia data. Sebbene dunque Del Toro abbia creato una storia totalmente nuova su Pinocchio, è riuscito a ricreare la giusta personalità del suo protagonista.
Si tratta di un film dai forti connotati politici e critici nei confronti della società italiana del ventennio. Così come aveva fatto per quella spagnola del periodo franchista in Il Labirinto del Fauno, il cineasta messicano vuole mostrare la follia e l’orrore della guerra e della dittatura attraverso gli occhi del bambini. La contestualizzazione nell’Italia Fascista è davvero geniale, così come trasformare il Paese dei Balocchi in un centro di reclutamento di giovani Balilla. In questo nuova rivisitazione infatti Lucignolo non è più un semplice bullo monodimensionale che serve solo come spalla di Pinocchio, anzi. Lui è a sua volta vittima di un padre severo e di una società malata e solo alla fine, grazie all’amicizia con il burattino, ne verrà fuori. Questi sono temi da sempre cari al regista messicano che con La Spina del Diavolo, aveva già raccontato una vicenda molto, ma molto simile.
Anche il fatto che Geppetto perda il suo amato “vero” figlio a causa di una bomba e che per tutto il film venga ripetuto quando la guerra sia una cosa orrenda dà un incredibile forza al messaggio pacificista che Del Toro manda. Potremmo anche parlarvi della rappresentazione stessa del Duce Benito Mussolini, ma sarebbe spoiler ed eviteremo. Sappiate però solamente che l’antipatia del regista messicano nei confronti delle figure dittatoriali del ‘900 europeo viene fuori più che mai.
Dal punto di vista artistico, Pinocchio è un autentico gioiello. Uno di quei film che appena terminati si è consapevoli di aver visto qualcosa di cui ci si ricorderà ancora tra vent’anni. L’uso assolutamente straordinario dell’animazione in stop motion, i design meravigliosi di tutti i personaggi, tra i quali spiccano gli spiriti dei boschi ispirati alle creature mitologiche e eteree così tanto amate da Del Toro, per arrivare alla colonna sonora e alla prova strepitosa del cast di doppiaggio sia per i dialoghi che per le parti cantate nel quale spicca su tutti il fantastico lavoro fatto da Ewan McGregor nei panni del Grillo Sebastian, sono solo alcuni degli elementi che rendono questo film immancabile.
Potremmo citarvi la geniale introduzione di personaggi divenuti subito iconici come la scimmia Spazzatura, l’uso alternato del doppiaggio inglese e italiano, lo struggente background di Geppetto mostrato nel potentissimo prologo o il rapporto che Pinocchio ha con la morte che è in assoluto la trovata migliore che la geniale mente di Guillermo Del Toro fa in questo film. Ma rovinarvi la visione di un film così sarebbe un crimine. Dunque correte a vederlo. Non ve ne pentirete, garantito.