Tutti fanno passi falsi e capita anche alle rockstar: ecco dieci album da dimenticare nelle discografie di band famosissime. Vi ritrovate in questa lista?
Non tutte le ciambelle vengono col buco, si dice, e non tutti gli album musicali riescono bene anche agli artisti migliori al mondo. Sono tante le band amate da fan e critici che, prima o dopo, hanno prodotto qualche disco che semplicemente non funzionava, e non funziona nemmeno se riascoltato oggi.
Il che ci deve essere di confronto: siamo tutti esseri umani e nessuno è perfetto. Ecco quindi un bell’elenco di album “brutti”, o che i fan o la critica (o entrambi) non hanno gradito al tempo della loro uscita e che nemmeno oggi sono visti benissimo. Fateci sapere cosa ne pensate di questo elenco su LaScimmiaSente: manca qualcosa? Dovevano esserci dei titoli diversi? Iniziamo.
2. The Rolling Stones – Their Satanic Majesties Request, 1967
Un tentativo di album psichedelico e sperimentale, composto dal gruppo seguendo le mode dell’epoca (e le produzioni dei Beatles stessi), ma che evidentemente non è nelle loro corde. La tracklist è caotica e confusionaria, e si salvano solo la famosa She’s a Rainbow (grazie anche alle orchestrazioni di John Paul Jones) e la straordinaria ed enormemente sottovalutata In Another Land, scritta dal bassista Bill Wyman. Il resto costituisce un ascolto davvero difficile e ostico, per quanto potenzialmente interessante sotto certi punti di vista.
3. Pink Floyd – The Final Cut, 1983
Troverete sempre dei fan dei Pink Floyd disposti a difendere la qualità di quest’album fino alla morte. Ma, rispetto ai capolavori degli anni ’70, quello che sentiamo qui non si può non descrivere come un disco spoglio e concettuale, completamente incentrato sulle visioni di Roger Waters (e che infatti suona come i suoi primi album da solista). A malapena si può dire un disco dei Pink Floyd in senso stretto e infatti è l’ultimo prima dell’uscita dal gruppo di Waters e del ripensamento della formazione con Gilmour come leader.
4. Genesis – Calling All Stations, 1997
C’è un motivo se questo è stato l’ultimo album nella lunga carriera dei Genesis. Il primo dopo l’uscita dalla formazione di Phil Collins, l’unico con Tony Banks e Mike Rutherford come soli membri storici rimasti e l’unico con Ray Wilson alla voce. Risultato: un pop rock solo vagamente prog che poco può rispetto alla scena alternativa degli anni ’90. Un risultato imbarazzante e poco capito dai fan, che porta allo scioglimento di fatto del gruppo.
5. Metallica – Reload, 1997
Un album criticato fino allo sfinimento dai fan storici della band e dai nostalgici dello stile thrash metal dei Metallica più classici (poi da loro prontamente ripreso). La svolta alternative rock del gruppo non è stata capita all’epoca e a malapena viene perdonata oggi; e se Fuel rimane un piccolo classico nella loro discografia il resto di questa tracklist giace quasi interamente dimenticato, e ignorato dalla stessa band che, saggiamente, preferisce anche dal vivo riproporre i brani del proprio periodo d’oro; e non certo questi.
Un album talmente malriuscito che oggi quasi nessuno si ricorda che esiste. Il che è tutto dire. Il problema principale? Un piattume incommensurabile, come una patina di mediocrità stesa sopra la tracklist intera, che la pur innegabile abilità del compianto chitarrista non riesce ad intaccare. Completano il quadro il limitato coinvolgimento del bassista Michael Anthony e la presenza di Gary Cherone degli Extreme alla voce, che con la band non c’azzecca nulla. Risultato: i Van Halen rimangono intattivi fino al 2012.
8. The Velvet Underground – Squeeze, 1973
Ossia: il multi-strumentista Doug Yule che si prende sulle spalle il nome Velvet Underground in assenza di tutti, e ripetiamo tutti, gli altri componenti storici: Lou Reed, John Cale, Maureen Tucker e Sterling Morrison. Ne esce un disco perlopiù mediocre, fatto di un pop rock solo vagamente alternativo e che molti percepiscono come una truffa o, se non altro, una presa in giro del pubblico. Non a caso, è l’ultimo album in studio mai uscito sotto il nome Velvet Underground.
9. Emerson, Lake and Palmer – Love Beach, 1978
Un classico esempio di album prodotto solo per soddisfare obblighi discografici: cioè, controvoglia. Mancante dell’audacia e dello sperimentalismo dei precedenti lavori del trio, si fa notare principalmente per la re-interpretazione di una composizione di Joaquin Rodrigo, perdendosi nel resto in pezzi affidati ad un Greg Lake, in questa fase, non particolarmente brillante. E la copertina stile Bee Gees non aiuta di certo. Per i fan segna ufficialmente la fine del periodo d’oro non solo di EL&P, ma anche del prog rock come genere in toto.
10. The Clash – Cut the Crap
Un altro album che porta allo scioglimento di una formazione storica. Solo Joe Strummer e Paul Simonon rimangono come membri dei Clash per quest’ultimo lavoro del mitico gruppo punk; che, a metà anni ’80, suona decisamente anacronistico per non dire povero di idee rispetto alle innovazioni della scena new wave e dell’hardcore punk americano. Il pubblico e la critica non approvano, e di lì a poco anche i Clash dicono la parola fine: forse, a posteriori, è stato meglio così.