Rocketman è il migliro film possibile su Elton John: spaziale, esplosivo e folle come lui, ma anche straordinariamente intenso. Lo riscopriamo con la nostra recensione
C’è un motivo per cui Rocketman è uno dei migliori biopic musicali usciti negli ultimi anni. E il motivo si chiama Elton John. Uno dei più grandi cantanti di sempre, tra gli artisti di maggior successo della storia e, specialmente negli anni ’70, leggenda vivente della musica con milioni di dischi venduti in tutto il mondo.
John ha unito la tradizione musicale e il songwriting di stampo classico alla rivoluzione degli anni ’60, ai nuovi suoni rock e ai costumi glam dissoluti e libertini della decade successiva. Risultato: una carriera incredibile, fatta di eccessi e avventure ma anche di canzoni straordinarie come Rocket Man, Tiny Dancer, Candle in the Wind, Goodbye Yellow Brick Road, Your Song… potremmo proseguire per un bel po’.
Rocketman, diretto da Dexter Fletcher (anche regista de-facto di Bohemian Rhapsody) e con l’incontenibile Taron Egerton come protagonista, ripercorre la storia di Elton attraverso la narrazione della sua stessa musica, trasformando il film in un gigantesco e coloratissimo carosello nel quale ogni momento della vita del cantante è accompagnato da una canzone, re-interpretata per l’occasione.
E quindi, dagli ingenui esordi e la fuga dalla figura autoritaria del padre, all’incontro con il paroliere Bernie Taupin e John Reid, il manager che ne decide il successo, Elton viaggia a ritmo di musica in una spirale fatta di droga, sesso (gay) e rock and roll tipicamente anni ’70 ma allo stesso tempo profondamente personale e incentrata sulla sua stessa storia.
Il film è infatti un lungo e difficile percorso di auto-realizzazione per il cantante, che dall’alto del successo sui palchi di tutto il mondo realizza di aver sempre desiderato solo di accontentare gli altri e di non essere stato mai realmente “libero”, cercando nella sua trasgressione ma anche (per fortuna) nella sua musica un rifugio e una via di fuga.
La storia la sappiamo: dopo aver rischiato la vita diverse volte, come del resto molte altre rockstar della sua epoca, Elton riesce miracolosamente ad uscire “dal tunnel” e riprende in mano la sua vita con la famosa hit I’m Still Standing, scena che (ricreando il video originale, famosissimo) celebra la sua rinascita.
Non quindi un semplice biopic celebrativo dell’eccezionalità di un personaggio incredibile, ma anche una narrazione umana e per certi versi umile, che riporta la rockstar alla dimensione di uomo e viceversa, raccontando fragilità e dubbi dell’individuo ma anche, sullo sfondo, i cambiamenti, le ipocrisie e la difficile evoluzione della società in decadi di febbrili mutamenti.
Mutamenti che Elton e la sua musica incarnano e ai quali danno sfogo, aspetto rappresentato con performance perfette e specialmente da parte di Egerton, protagonista naturale e che sembra nato proprio per questo ruolo. Difficile dire se Rocketman abbia fatto riscoprire Sir Elton alle nuove generazioni come Bohemian Rhapsody ha fatto per i Queen. Per ora sembra di no, a dirla tutta.
Ma, ciò detto, non si può negare che Rocketman sia tra i pochi biopic musicali degli ultimi anni (fitti di produzioni del genere, del resto) ad aver veramente catturato lo spirito dell’artista, del mito e dell’uomo che ne è protagonista. E se si prende molte libertà, inventando o narrando la storia contorcendola ed esagerandola, è perché Elton era ed è proprio così: omaggio migliore non gli si poteva rendere.