Wanna, la Recensione della serie Netflix su Wanna Marchi

La nostra recensione di Wanna, docuserie Netflix su un personaggio controverso della storia recente italiana. E che ci ha ricordato molto Better Call Saul. Vi spieghiamo perché.

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Disponibile su Netflix, Wanna, una delle docu-serie più discusse su un personaggio quantomeno controverso. Un riepilogo dei fatti ormai noti a tutti ma che osserva e cava a fondo sulla vicenda. Quattro puntate serratissime che nonostante tutto vi terranno incollati allo schermo.

Wanna, la Trama

La storia di Wanna Marchi, così come la conosciamo, almeno nei fatti di cronaca che l’hanno coinvolta, insieme alla figlia Stefania Nobile. Durante quattro puntate, Wanna ci porterà dentro la storia di questo personaggio discusso e controverso, ricostruendo sin dagli albori l’ascesa e soprattutto la sua discesa negli inferi personali.

Wanna, la Recensione

Come si costruisce un personaggio? E che accade quanto tutto sfugge inesorabilmente di mano. Il documentario diviso in quattro puntate racconta sostanzialmente questo. Un’epopea, una catabasi ideale, la più classica meteora che brilla nel cielo per poi schiantarsi inesorabilmente.

Durante tutta la prima parte, ci viene mostrato una persona, prima del personaggio, fragile e comune. Una storia complessa, fatta di solitudine e violenza familiare. Avversità che però hanno dato linfa vitale a Vanna Marchi, rigorosamente con la V. Già, perché prima di unire un’altra V al suo nome, Wanna era Vanna. Una persona dalle origini umili, cresciuta con pochi spiccioli in tasca.

La sua voglia di rivalsa però l’ha portata ad incarnare il più classico del self-made man di chiara accezione statunitense. Maniche rimboccate, cultura del lavoro ed ecco che da “semplice” estetista con la quinta elementare, si trasforma in una grande venditrice.

Passo dopo passo, assistiamo ad una storia di drammi e rivalsa, una storia dove l’obiettivo principale è quello di spiccare, di fare soldi ad ogni costo. Di nuovo, la più classica della mentalità imprenditoriale che oggigiorno affolla i social. Vanna Marchi, lei che ne sa una più del diavolo. Forse.

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Arriviamo dunque al clou della storia, all’evoluzione della persona in personaggio. A partire dal cambio nome, che segna una linea di demarcazione forse fin troppo labile. Vanna, all’anagrafe, diventa Wanna, agli occhi di tutti. Impossibile non notare quell’insegna nel suo primo negozio, aperto in una comunità sospettosa e chiusa rispetto al nuovo, Ozzano Nell’Emilia. Almeno nelle parole di chi ha vissuto la cittadina.

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Eppure Wanna Marchi è riuscita a dare le gomitate necessarie per emergere in quella comunità, da sé. Forse. Il dubbio sorge inevitabile quando il documentario tira in ballo un personaggio singolare ed inquietante: Milva Magliano. Fa sorridere che il suo cognome ricordi non poco una famosa banda romana. Un po’ meno quando si inizia a raccontare, fin troppo brevemente, la sua storia.

Una storia fatta di contatti con la camorra, di minacce passivo aggressive quando viene appiccato un incendio ad un asilo. Lei è la prima sospettata, i carabinieri pensano ad una ritorsione. Ma la Magliano, con una calma serafica ed inquietate, riferisce loro la sua innocenza, sottolineando, come se fosse necessario, che nel caso avrebbe dato fuoco alla caserma. E un brivido scorre lungo la schiena.

Lasciamo a voi scoprire il collegamento, nonché l’introduzione di personaggi altrettanto singolari e legati alla P2, per dirne uno. Insomma, quello a cui assistiamo sembra essere la più classica della punta di un iceberg profondo, una storia che ha evidentemente qualcosa da nascondere e che difficilmente salirà a galla.

La seconda parte della serie invece inizia a guardare a Wanna Marchi, con la doppia vu, facendo salire in cattedra il personaggio, che chiaramente fa sparire la persona. Ecco dunque che la linea di demarcazione di cui sopra svanisce, restituendoci quello che abbiamo sempre conosciuto. Una donna che ha bisogno dei riflettori, che ha qualcosa da dire, conscia del fatto che è indistruttibile.

Sebbene le nenie sulla pensione di seicento euro e quant’altro, il ritratto di Wanna Marchi che viene fuori è quello di una persona (in italiano, maschera) che non si è mai pentita di ciò che ha fatto. E la motivazione è ormai diventato un meme: “perché i coglioni, vanno inculati. Cazzo!

Un turpiloquio aperto e diretto, figlio diretto di un personaggio che vive ancora negli anni Ottanta. Anni di benessere collettivo, dell’avvento di una società “da bere”, che non badava a troppi fronzoli e che viene ritratta perfettamente dai tanto vituperati cinepanettoni.

Nessuna riabilitazione, nessun giudizio. Wanna mostra semplicemente ciò che la storia recente ha già raccontato, con la brillante capacità di catturare l’attenzione nonostante i fatti siano noti a tutti.

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Molto probabilmente però l’intento di Nicola Prosatore, regista della serie, non era quello di proporre una semplice ricostruzione dei fatti, interpellando i diretti interessati. Wanna presenta infatti un sottotesto molto sottile, che rimanda ad un’altra serie molto analoga: Better Call Saul.

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Lo spin-off capolavoro di Vince Gilligan presenta infatti molti punti in comune (involontari, chiaramente) con Wanna, fatte le dovute proporzioni, visto che stiamo pur sempre parlando di realtà e finzione, relativamente alle due serie. Specifica doverosa perché poi realtà e finzione finiscono per confluire anche nella dicotomia tra persona e personaggio di cui sopra.

Jimmy McGill che diventa Saul Goodman, Vanna Marchi che diventa Wanna Marchi. Figli della volontà di rivalsa verso una vita che ha dato poco alle persone. Dunque, per la rivalsa ricercata, ecco arrivare un palcoscenico, un voler rinnegare il povero passato dirigendosi verso un cinismo sconfinato.

Andando oltre il carattere prettamente sociale, è impossibile non pensare alla scalata verso il successo che ha coinvolto Saul e Wanna Marchi. Una scalata che ha visto costruire due carriere su un palcoscenico, sull’intrattenimento ancor prima che sulla professione. Le famigerate luci della ribalta.

Storie che dunque viaggiano in parallelo, così come le persone e i personaggi che ne seguono inevitabilmente. Ecco dunque che il filo rosso Netflix riesce a creare un legame indissolubile tra realtà e finzione, accomunando due personaggi truffaldini convinti fino all’ultimo delle loro azioni.

Azioni gravi, atte a danneggiare l’altro per trarne un giovamento personale. Tanto economico quanto legato all’ego. A quella machiavellica ricerca del fine ultimo: la gloria del denaro. Ogni mezzo trova una giustificazione, raramente condivisibile, almeno per ciò che concerne Saul. Mai per Wanna.

Questo parallelismo, che molti potrebbero trovare forzato, riesce dunque a chiudere la confezione di una docuserie quasi perfetta. Il team di sceneggiatori, insieme al regista, riescono infatti a raccontare e ridisegnare una figura controversa, allontanandosi da un facile sguardo manicheo e mettendo in scena la più classica delle storie vere che riescono ad andare oltre alla realtà stessa, divenendo quasi surreale, tanto i personaggi sono grotteschi. Insomma, un classico momento di realtà che supera addirittura la fantasia.

Cast

  • Wanna Marchi
  • Stefania Nobile
  • Jimmy Ghione

Trailer