Men è il nuovo film di Alex Garland che sta conquistanto critica e pubblico. La trama racconta di Harper, una donna che cerca di dimenticare la morte del marito, caduto da un tetto sul quale era salito dopo una furiosa litigata con sua moglie. Per farlo cerca riparo andando in una gigantesca casa di campagna fuori città dove spera che la natura e il silenzio la rasserenino. Tuttavia Harper si troverà a fare i conti con uomini all’apparenza normali ma che col passare del tempo si contorceranno in grottesce manifestazioni della sua psiche traumatizzata dalla morte del marito della quale Harper si dà la colpa. Un concept originale, fresco, ben diretto, ben recitato. Eppure sicuramente i videogiocatori di vecchia data leggendo queste parole avranno avuto un forte senso di Déjà vu.
Dove infatti abbiamo visto un protagonista responsabile della morte della propria moglie andare in un luogo alla ricerca di pace e trovarci invece mostri creati dal suo senso di colpa? Niente? Neanche se diciamo James Sunderland? Esatto, Men per soggetto e concept di base è davvero molti simile a Silent Hill 2, leggendario gioco del 2001 sviluppato da Konami. Vi sentite un po’ storditi da questa conclusione? Tranquilli, vi spieghiamo tutto.
Partiamo dai protagonisti, James e Harper. Entrambi convivono con un senso di colpa, seppure attenuato dalle circostanze. Il primo infatti ha soffocato sua moglie Mary. Tuttavia la donna era malata terminale e avrebbe lasciato questo mondo da lì a pochi giorni. James è dunque si responsabile della morte della sua amata ma in una situazione particolare, cosa che lo porta a rimuovere questa informazione dal suo cervello. Per questo decide di andare nel luogo preferito suo e di sua moglie, Silent Hill, a “cercarla”. In realtà il corpo di Mary si trova per tutto il tempo nel bagagliaio dell’auto e il viaggio di James tra le strade della città ricoperta dalla nebbia sarà solo un lungo sentiero di espiazione attraverso luoghi un tempo simbolo di gioia e ora brulicanti di mostri.
Harper dal canto suo, sebbene suo marito (che guarda il caso si chiama proprio James) sia scivolato dal tetto della loro casa, si ritiene colpevole della morte, in quanto il consorte aveva tentato di rientrare in casa passando per vie traverse dopo che lei lo aveva cacciato a seguito di una lite generata da un pugno che James le aveva dato.
“Hai permesso che si scusasse?” chiede il prete ad Harper quando cerca riparo in Chiesa. L’uomo, che è frutto della psiche tormentata della donna, al pari del Pyramid Head che James vede per le ben poco ridenti strade di Silent Hill, serve solo come mezzo per amplificare ancor di più il senso di colpa che la giovane prova. La donna cerca pace, ma il dolore la pereseguita. Esattamente come James che è tormentato in ogni dove dall’immagine del gigantesco essere che uccide la sua amata ancora e ancora. Per le strade della città l’uomo incontra infatti Maria, donna che appare in tutto simile a Mary ma che si comporta in modo diverso. Cosa davvero simile ai vari uomini che Harper incontra che sono tutti interpretati dalla stessa persona, non trovate? Questi non sono altro che scherzi che il cervello dei protagonisti gioca loro per nascondere la realtà troppo dolorosa.
“Mery non l’ho uccisa io, è Pyramid Head che la continua a sventreare” – si illude James
“La colpa della morte di James non è mia, ma degli uomini in quanto tali” – pensa Harper affrontando diverse versioni di questa persona senza identità di sesso maschile che rappresenti l’intero genere.
La donna non vede infatti persone ma simboli di quel maschilismo tossico e di quella possessività che la perseguitano e che, secondo lei, sono state la causa della morte del suo James. In Men, come suggerisce il titolo, le figure con cui Harper deve confrontarsi sono tutti uomini rappresentanti le istituzioni sociali: clero, polizia, borghesia. Nella sua mente tutti loro non sono altro che mostri che la tormentano. Non è necessario avere enormi piramidi in bronzo e trascinare gigantesce mannaie per terrorizzare. Alex Garland questo lo sa perfettamente.
Il regista ha anche ovviamente un’idea totalmente diversa del come rappresentare il luogo creato dalla psiche rispetto a quello pensato dalla Konami oltre vent’anni fa. Se infatti James vede Silent Hill come un luogo marcio e deforme, al contrario del bellissimo idilliaco luogo nel quale si recava in vacanza con sua moglie, Harper vede la villa di campagna bellissima, un paesaggio quasi bucolico nel quale la sua mente inserisce mostri che sono diversi dalle creature aberranti del videogioco, ma sono altrettanto spaventosi. Modi diversi di mostrare la stessa cosa. James vede marcire una città che rappresenta per lui la gioia, mentre Harper vede trasformarsi in inferno e ansia un luogo che dovrebbe essere tutto l’opposto. Vita, morte. Pace, angoscia. Il senso di colpa e il dolore sono così forti da distorcere totalmente la realtà rendendo ogni cosa l’esatto opposto di quello che è.
In entrame le opere, infine, i finali sono molto simili. Come infatti Harper si confronta con le grottesche creature che la sua mente crea prima di venire a patti con la morte del marito e infine “uccidere” il mostro che la perseguita, così James, una volta essersi ricordato cosa ha fatto a Mary, uccide il mostro nel quale la versione della sua amata chiusa in Silenti Hill si trasforma e viene a patti con quello che ha fatto ricordandosi che la vera Mary si trova lì dove è sempre stata, nel bagagliaio della sua auto. Nessuno dei due perdona sè stesso per quanto è successo, ma entrambi accettano la realtà e i mostri non sono più necessari. Harper può andare via insieme alla sua amica, James può lasciare Silenti Hill. La vita ora può andare avanti.