Lonerism, il secondo album di Tame Impala, è una riflessione musicale onirica sull’idea della solitudine: un capolavoro di neo-psychedelia e ormai un classico moderno
Lonerism, ossia: l’essere da soli, più che la solitudine in sé. Qualcosa che Kevin Parker, il musicista australiano noto come Tame Impala, ben conosce. E non si parla attenzione di una solitudine imposta o subita, ma della semplice realizzazione di non essere, come si direbbe in inglese, “a people person”
Ed è anche questo concetto, per come poi si risolve liricamente e poeticamente nei suoi brani, ad avere reso Parker una delle icone della generazione millennial. Questo, e ovviamente la genialità compositiva che si interseca con una sensibilità pop sempre più evidente alla ricerca di un equilibrio (artistico e mentale) che sembra impossibile da raggiungere e allo stesso tempo sempre più vicino.
Dopo Innespeaker (2010), un lavoro di rock psichedelico classico con motivi chitarristici anni ’60 e ’70, in Lonerism il cantante inizia a mostrare influenze più ampie, sempre lavorando di chitarra ma adottando suoni via via più plastici e levigati. Nonché più complessi ed avventurosi, come si sente negli arrangiamenti che tradiscono un crescente desiderio di perfezione.
Allora Lonerism, dalla copertina che rappresenta qualcuno che guarda il mondo “da una gabbia” (ed è dentro o fuori? Quale è peggio?), alle liriche metaforiche e influenzate dalla relazione (finita) di Parker con la musicista francese Melody Prochet, si trasforma in un complesso mosaico, sfaccettato e persino contradditorio, sul tema della solitudine esistenziale.
Non solo un atteggiamento ribelle e adolescenziale, ma la realizzazione di una propria natura, come si diceva. Non tutti sono fatti per stare in mezzo agli altri e Parker è uno di quelli. Infatti, tra le altre cose, scrive, compone, suona e registra questo disco tutto da solo a Perth, in Australia, e a Parigi. Ed è da Parigi, tra parentesi, che viene la foto in cover.
Le canzoni si alternano in diversi percorsi introspettivi, a volte di natura vittimista a volte più riflessivi, ma sempre incentrati sul rapporto tra il sé e gli altri. Be Above It, con le sue atmosfere apocalittiche, introduce le tematiche dell’album ma anche il suono innovativo neo-psichedelico, ipnotico ma anche orecchiabile, pensato ma anche radio-friendly, che diventerà il marchio di fabbrica di Kevin.
Lo si sente bene anche nel rock di Mind Mischief, governato da immortali riff; nel super-classico Feels Like We Only Go Backwards, brano etereo e dai tratti pallidi che trasporta musicalmente in un’altra dimensione ma espone pensieri ben più concreti sull’astrattezza della realizzazione dei proprio obiettivi.
E in Endors Toi (“Addormentati“, in francese), molto più chitarristico e basato su una progressione di accordi particolarmente avvincente; nella quasi-prog Why Won’t They Talk to Me, colma di suoni peculiari ed esperimenti di produzione; e nella parabola morale nei suoni quasi Beatlesiana di Keep On Lying.
Non si possono poi non citare le due migliori canzoni dell’album, spesso ingiustamente ignorate rispetto all’insieme. Elephant, una parodia del rock “fallico” anni ’70 (con stile alla Led Zeppelin e citazione dei Pink Floyd) che parodizza lo stereotipo di quello che oggi chiameremmo l’alpha man; uno che: “Ha tolto gli specchietti dalla sua Cadillac perché non vuole che si pensi che guarda indietro”.
Ed Apocalypse Dreams, una composizione psych-prog di altissimo livello che fonde insieme i temi “Tutto sta cambiando” e “Niente cambia mai”. L’impossibilità e allo stesso tempo la certezza del cambiamento, tema ripreso poi in Currents (2015) e lo scorrere lento e veloce del tempo, affrontato in The Slow Rush (2020). Parker cattura, forse senza volerlo, sfumature che riassumono il sentire di una generazione.
Ed è solo l’inizio, naturalmente, anche se non 2012 forse non è chiaro nemmeno a lui. Tame Impala deve ancora iniziare a vedere sé stesso come un autore del futuro (in musica e non), e devono ancora venire i tempi nei quali si vedrà come un nuovo Max Martin e collaborerà con Lady Gaga o The Weeknd.
Ma in Lonerism, per quanto (parole sue) in gran parte composto parlando di “altri”, sembra che Parker ritrovi per la prima volta sua vera personalità e scopra come funzioni la sua propria bussola, con la quale muoversi nel mondo. Una bussola artistica, ma anche morale e psicologica. Un risultato unico, un passo da gigante (il primo di tanti) di un musicista monumentale: questo è Lonerism.