H2O viene spesso considerato come il miglior album del duo formato da Daryl Hall e John Oates: una sintesi di musica leggera perfetta e brillante
Forse chiunque sotto i 40 anni (ma anche sotto i 30) dirà: “Chi?”, ma negli anni ’80 Daryl Hall e John Oates erano davvero molto famosi. Campioni del genere cosiddetto blue-eyed soul (per quanto Oates fosse tecnicamente almeno in parte nero), quarant’anni fa erano universalmente noti per le loro hit mangia-classifiche.
La clausola: la loro era (ed è se riascoltata oggi) musica per adulti. Vero è che parlavano principalmente di relazioni, sentimenti e tribolazioni amorose da punti di vista spesso adolescenziali. Ma le loro musiche non abbracciavano arrangiamenti e generi di moda, facendosi influenzare solo parzialmente da rock, new wave e synth.
E questo H2O, uno dei loro album più storici, era in effetti il primo ad allontanarsi concretamente da un suono pop rock più di genere e ad accogliere vagamente tastiere e motivi digitali. Ma le parti vocali, i riusciti ritornelli e l’espressione del sentimento tramite la voce rimangono gli elementi della loro musica più impeccabili.
Questo, a fianco ad un songwriting brillante e capace di azzeccare melodie e liriche di immediato impatto. Il merito era in gran parte di Daryl Hall, spesso riconosciuto (anche se per molti esagerando) come il “vero genio” tra i due. Ma non vanno dimenticati i contributi delle sorelle Janna e Sara Allen, quest’ultima fidanzata di Hall e anche soggetto della loro canzone Sara Smile (1975).
Dopo una lunga gavetta il duo aveva finalmente iniziato a scalare le classifiche tra anni ’70 e ’80, ma questo H2O (Hall, 2, Oates, gioco di parole sulla formula chimica dell’acqua) è stato forse il disco che ha segnato veramente l’inizio della loro popolarità mondiale. A partire dall’ovvio richiamo alla fisicità, tipicamente anni ’80, che emerge fin dal titolo e dalla copertina.
Naturalmente questo non comporta che i brani siano espliciti e provocatori, anzi: la loro è musica rassicurante, per famiglie persino, che si può ascoltare in radio, alle feste, in giardino, in spiaggia. E ciò non toglie che sia geniale: Maneater, la famosissima hit con il celebre ritornello: “Oh, here she comes…”, lo prova già da sé.
Nel disco emergono anche l’intrigante numero synth funk di Crime Pays, il rock jazz incitante di Art of Heartbreaker, l’avvincente cover di Family Man di Mike Oldfield. E poi: il soul profondo e riflessivo di Open All Night, le atmosfere misteriose ed eteree di At Tension e il pop liberatorio di Go Solo.
Le canzoni meno riuscite sono One on One (che comunque ha un enorme successo come singolo), il rock and roll alla Kenny Loggins di Guessing Games ed Italian Girls, scritta e cantata dal solo Oates. L’insieme è comunque estremamente pregevole e a maggior ragione se riascoltato oggi.
In anni parossistici come gli ’80 è molto più facile ricordarsi di altre band e di artisti incisivi, rivoluzionari o estremamente di rottura. Hall & Oates (che odiavano essere chiamati così, ma la storia ha deciso diversamente) erano e sono un duo che fa musica per persone “normali”, ma la fa benissimo e con una bravura difficile da cogliere.
Difficile per chi, nella musica stessa, cerchi solo motivi di trasgressione o alienazione. Ed è quindi in qualche modo corretto definire questo genere di rock soul, o pop soul, come suono per certi versi “conformista”. E allora? Ecco perché occorre essere un po’ adulti per apprezzare la finezza di queste canzoni. In quella decade c’erano il punk, il metal, il pop, il synth. Ma c’era anche altro. Questo disco ce lo ricorda.