Il recente annuncio di un seguito diretto di Monkey Island ha letteralmente fatto saltare di gioia tutti i vecchi fan della brillante saga nata sotto l’egida della LucasArts. Una saga entrata nel cuore per le sue idee, ai tempi, estremamente innovative e per personaggi tanto caratterizzati quanto iconici. Dopo un terzo e un quarto capitolo non proprio brillanti e un terribile quinto capitolo, la regia di questa nuova opera torna in mano al suo creatore. Ron Gilbert, questa volta solo con Dave Grossman e senza Tim Schafer (che formavano il trio dietro i primi due leggendari capitoli), ha ripreso in mano la propria creatura a distanza di più di 30 anni. Return to Monkey Island è quindi diventato realtà.
L’intenzione di Ron Gilbert non era quella di cancellare tutto ciò che è avvenuto alla saga dopo la sua dipartita dalla società (post Curse of Monkey Island), lasciando quindi canonici i capitoli successivi, ma tornare a un punto di origine. I seguiti più deboli non vengono quindi cancellati dal canone ma lasciati in sospeso a livello puramente artistico e di concept. É abbastanza palese fin da subito l’intenzione di rimarcare le origini del mito iniziando il nuovo gioco dove tutto ebbe inizio (qui la nostra recensione del primo, immortale, capitolo).
Il focolare, l’anziano di vedetta e una nuova avventura
Le mirabolanti avventure del temibile pirata Guybrush Threepwood iniziano impersonando un bambino biondo che ha una somiglianza incredibile con il protagonista della saga. Questo breve intro servirà da breve e veloce tutorial scoprendo che il ragazzino non è altro che il figlio di Treepwood. Una volta incontrato il padre quest’ultimo inizierà a raccontare la sua incredibile storia atta a scoprire il famigerato segreto di Monkey Island.
É qui che inizia la vera avventura e lo fa di fronte a un anziano barbuto e un focolare accogliente. I vecchi giocatori avranno, come noi, avuto un sussulto dalla commozione nel ritrovarsi proprio dove, nel lontano 1990, Guybrush Threepwood si mostrò al mondo. Come abbiamo già anticipato, Ron Gilbert ha scelto questo inizio proprio per rimarcare l’idea di tornare sui passi del mito, di camminare parallelamente alla nostalgia raccontando però una nuova e divertentissima storia.
Return to Monkey Island mette subito sul piatto quel cammino parallelo tra nostalgia e nuova linfa per la saga. Arrivati allo Scumm Bar troveremo infatti lo stesso identico ambiente del passato ma animato da persone totalmente nuove, perlopiù. Il grog è ormai roba desueta e i pirati non si diletteranno più in bislacche prove e strambe leggende. La nuova generazione sarà disincantata, fermamente legata al concetto di pirata più vicino a quello che comunemente conosciamo. Almeno all’apparenza. Come la saga ci ha abituati, tutto è il contrario di tutto e ogni personaggio graviterà intorno alle assurde quest ideate dal creatore.
Nel gioco, oltre a riferimenti generazionali, politici e culturali, non mancheranno critiche al marketing aggressivo, gli slogan politici/sociali beceri e le fake news. Return to Monkey Island ci racconta il gioco stesso ma anche il mondo che ci circonda, ovviamente con iperboli e dialoghi divertenti e sopra le righe. Ed è proprio questo che ci aspettavamo dalla brillante mente di Ron Gilbert, battute divertenti e brillanti, ma non solo.
Enigmi ed esplorazione
Proprio come i vecchi giochi, il tutto è legato a una serie di puzzle ambientali e narrativi che si concatenano tra loro. Il protagonista dovrà quindi girare in lungo e largo per raccogliere oggetti e informazioni utili ai fini della trama. La parte più divertente, costante nella saga, è il punto in cui la trama prende linee assurde, giustificate con escamotage diretti ed esilaranti.
Return to Monkey Island offre inoltre al giocatore due possibili opzioni iniziali. Si potrà scegliere una modalità più semplice, in cui i puzzle sono più facilmente intuibili, per godersi la trama senza troppo stress. Di contro abbiamo quindi una modalità più ostica e con enigmi più elaborati, figli delle assurdità presenti nei vecchi capitoli (chi non ricorda il trasporto di grog nella tazza fino alla prigione?).
Comparto artistico e tecnico di Return to Monkey Island
Dopo l’emozionante annuncio, i fan della saga si sono letteralmente divisi sul comparto visivo del nuovo gioco. Chi chiedeva una continuità con le ultime edizioni rimasterizzate della saga e chi invece ha accettato il nuovo design dei personaggi e degli ambienti di gioco. Dal canto nostro abbiamo apprezzato l’intera revisione del comparto tecnico e visivo.
A primo impatto ogni scena del gioco appare come un coloratissimo e ispiratissimo libro in cartoncino, quelli che si aprono e formano l’immagine in 3D. Il menù e l’utilizzo degli oggetti è decisamente più diretto rispetto al passato e il tutto si traduce in minor frustrazione nel cercare i punti di interesse e più fluidità durante il gioco.
A controbilanciare l’ispirata nuova componente visiva tornano le musiche dei compositori originali che rendono l’ambiente di gioco ancora più pregno di nostalgia. Un binomio perfetto che dona a Return to Monkey Island una nuova spinta verso il futuro senza slegarsi alla sua storia.
Il vero segreto, segretissimo, di Monkey Island
Un giovane irriverente vuole diventare un pirata rispettato da tutti, formare la sua ciurma alla volta di trovare un incredibile segreto nascosto al mondo. Ok, può sembrare la trama di One Piece, ma con questi semplici elementi Ron Gilbert e soci crearono la base di quella che divenne in brevissimo tempo una delle saghe videoludiche più famose e citate di sempre.
Tornare a Mêlée Island per una nuova ed enigmatica avventura è stato tanto divertente quanto emozionante. Riscoprire i vecchi luoghi e i vecchi personaggi, nuovamente legati tra loro da nuove ed esilaranti quest, ci ha lasciati con gli occhi lucidi a ogni tassello riscoperto. Abbiamo provato Return to Monkey Island su Switch confermando quanto di buono ci era stato anticipato. Pur senza mouse il gioco risulta facilmente godibile senza mai diventare frustrante lato interazione con i joycon. L’avventura inoltre, considerando il genere, ha una durata generosa che si attesta intorno alle 10/12 ore se si ricerca in lungo e in largo anche i collezionabili senza aiuti esterni.
Un titolo senza alcun dubbio divertente, in linea con i capitoli ideati da Ron Gilbert e soci ma con alcuni spunti addirittura più geniali, sia nei dialoghi che nelle dinamiche di gioco. Consigliamo quindi di tornare a impersonare Guybrush Threepwood a tutti coloro che hanno amato i primi due capitoli della saga e, senza alcun dubbio, di ripercorrere prima i vecchi giochi, prima dell’acquisto di questo, a chi non ha mai visto una scimmia a tre teste.