L’esordio da solista di Donald Fagen è anche il degno apice del percorso degli Steely Dan, nonché uno degli album più eleganti degli anni ’80
La parabola di Donald Fagen e Walter Becker, gli Steely Dan, giunge alla fine dopo una gloriosa carriera nel soft rock all’alba degli anni ’80. La coppia si separa nel 1981, a causa di numerosi problemi tra i quali non ultimo una continua ricerca di perfezione che già aveva causato molto problemi durante la registrazione del loro ultimo album, Gaucho, prima della separazione.
La rottura sarà lunga ma forse i due ancora non lo sanno. Ed è certamente Fagen, tra i due, quello che maggiormente trae giovamento dalla separazione. Liberatosi dall’oneroso compito di dare sempre un degno seguito ad ogni album degli Steely Dan, il cantante e tastierista si ritrova finalmente libero da impegni e costrizioni.
E si getta nella produzione di un album che recupera autenticamente la leggerezza, la spontaneità e il calore degli Steely Dan più classici, che in questo lavoro rivivono per un’ultima, gloriosa volta. E il fatto che Becker non prenda parte alcuna alle registrazioni solleva il dubbio: chi era il vero genio tra i due?
Poco importa, comunque, perché The Nightfly si dimostra un perfetto riassunto di tutto il meglio dello stile della band, contando anche su parecchi collaboratori storici e nomi di rilievo tra i sessionmen. Contiamo Rick Derringer, Jeff Porcaro, Valerie Simpson e Marcus Miller, tra gli altri.
The Nightfly assume un’impronta decisamente jazz rispetto ai lavori degli Steely Dan, con una componente rock ridotta all’osso ma di per suo indirizzata alla riscoperta dei suoni della giovinezza di Fagen, quelli del rock and roll più classico. Una tendenza all’epoca di certo non rara e che l’artista rappresenta in una sua maniera, tutta elegante.
E lo fa specialmente in Ruby Baby, un classico di Jerry Lieber e Mike Stoller (gli autori di Jailhouse Rock, tanto per dire), qui riarrangiata in maniera sontuosa e coloratissima. Ma non è certamente l’unico brano memorabile. La misteriosa e suadente New Frontier rappresenta forse l’apice dell’album, e non va dimenticato il memorabile successo della più scanzonata I.G.Y..
La cosa che più spesso si dice di questo album è che si tratta di uno dei primi lavori davvero popolari ad aver sfruttato la tecnologia digitale in fase di registrazione. Una scelta al passo coi tempi, che tuttavia cozza fortemente con i suoni proposti e i temi trattati, colmi di nostalgia e che guardano fortamente al passato.
Il soft rock stile Steely Dan si colora quindi di sottili tratti jazz che lasciano sempre più spazio alla forma canzone e alla narrazione della voce, mentre il connubio di strumenti si erge a cornice di un insieme musicale che trasuda carisma e convinzione. L’ispirazione si sente tutta e il momento è quello adatto: Donald Fagen custodisce l’eredità della band, allo stesso tempo re-inventando sé stesso.