Fossora, il nuovo album di Bjork, la trova persa in una dimensione fiabesca tutta inventata da lei. La cantante islandese è ormai un’aliena della musica sperimentale
Da Bjork che annuncia il suo improvviso ritorno a lei che, nel giro di un mese, compare sulla copertina di un nuovo disco, il primo in cinque anni, come il personaggio di una fiaba islandese. Tutto è successo in fretta ma il materiale la cantante lo aveva preparato già da tempo, scrivendo come moltissimi artisti in questi anni durante i periodi di reclusione delle quarantene.
Studiando le basi e componendo al computer in un coffee shop come farebbe un compositore della z gen, per contro l’artista si immerge in questo disco in un mondo folcloristico di fiabe e favole della natura che si perde nella tradizione islandese. Una riscoperta della sua terra natia tanto per cominciare.
Un ritorno a casa, un recupero delle radici, che lei stessa pone a contrasto con l’escapismo disperato e oscuro del suo lavoro precedente, Utopia, ispirato dal recente divorzio. Un ritorno quindi anche a sé stessa, il recupero di una dimensione personale e naturale che fa il paio con la riscoperta della sua femminilità ormai matura.
E non è un disco per tutti questo nuovo lavoro di Bjork. Le due tracce di apertura, Atopos e Ovule, sono le uniche a presentare vaghe reminiscenze del periodo trip-hop dei suoi primi album, usciti quasi trent’anni fa. Ma il resto è musica da camera, con orchestrazioni classiche e complessi arrangiamenti vocali.
Nel disco i temi si mescolano, dal tributo alla madre scomparsa di recente in Sorrowful Soil e Ancestress, alla ricostruzione di un ambiente naturale come “meditazione ecologica” e con riferimento specifico ai funghi, sua particolare passione. Tutte le composizioni sono intriganti, complesse e intricate.
Emergono in particolare l’oscura parabola di Victimhood; la deviazione electro-vocale di Mycelia, tutta composta da parti di voce intrecciate e rielaborate digitalmente; e Fungal City, l’unico featuring con un artista davvero famoso (che è Serpentwithfeet) in un misto di baroque pop ed elettronica dai sapori, anche qui, molto trip-hop.
All’album concorrono diversi altri collaboratori, per la maggior parte semi-sconosciuti (compresi i suoi due figli, Sindri e Ísadóra). Fa eccezione forse solo Emilie Nicolas, non particolarmente nota a livello internazionale ma molto famosa in Norvegia. Anche nella scelta dei featuring, il percorso scelto dalla cantante è introspettivo, non certo rimbombante.
In definitiva Fossora non è solo un album per i fan di Bjork, e non è solo un album di Bjork. Si tratta dell’ultimo lavoro di una artista a tutto tondo, ormai libera di esplorare le sue dimensioni senza essere legata al vincolo del successo commerciale o della popolarità, completamente persa nel suo universo del quale sa mostrarci con esperienza e audacia tutte le sfaccettature. Come tale, va capito.