Blonde: Recensione del film su Marilyn Monroe con Ana de Armas [VENEZIA 79]
Presentato in anteprima mondiale a #Venezia79 Blonde, provocatorio biopic su Marilyn Monroe con Ana de Armas, in uscita su Netflix il prossimo 28 Settembre. Il regista è Andrew Dominik è convinto si tratti di un film "femminista". Noi molto meno.
In concorso alla 79. Mostra del Cinema di Venezia anche Blonde, provocatorio biopic dedicata alla vita di Marilyn Monroe, al secolo Norma Jeane Baker, interpretata da Ana de Armas. Complice l’arrivo a sorpresa del produttore Brad Pitt, il film di Andrew Dominik conquista così le luci della ribalta, mentre le critiche si dividono nettamente tra esaltazione e orrore.
Il problema è essenzialmente che il regista Andrew Dominik abbia pensato di promuovere Blonde come “un film femminista”, affermazione platealmente in contraddizione con le immagini di un film che piuttosto sceglie di indulgere sui dettagli più morbosi di una biografia fortemente romanzata, carica di incongruenze storiche, fondata su immagini sessuali crude e disturbanti.
Programmato in ogni dettaglio per scandalizzare e dividere, Blonde descrive così Norma Jeane come una maschera tragica, Marilyn come il suo grottesco, artefatto alter-ego. E il risultato è l’immagine di una bambola fragile, tormentata e nuda, circondata da uomini violenti e sprezzanti, vittima della notorietà, ma soprattutto di sé stessa.
Peccato che chiunque accetti la definizione di film femminista non sembri conoscere una sola delle idee alla base del movimento culturale, ideologico e politico che inizia nel 1791 con Olympe de Gouge e arriva oggi alla “quarta generazione”, concentrata su pari opportunità, violenza di genere, sul superamento di ogni discriminazione, in armonia con le rivendicazioni LGBTQI+.
Non sembra conoscere neanche il grado zero della Feminist Film Theory di Laura Mulvey, la quale non si limita a identificare gli stereotipi delle figure cinematografiche femminili, sempre rigorosamente secondarie, ma fissa nella passività di una donna che non è mai soggetto attivo, ma sempre e solo oggetto dello sguardo, il fulcro di una questione che resta ancora aperta.
Quel che è più grave è che, anche al netto di queste considerazioni, le immagini dei feti parlanti, impegnati a colpevolizzare la madre per il suo primo aborto, la soggettiva degli organi interni sul forcipe, replicate ben tre e due volte, denunciano una povertà drammaturgica e filmica che è anzitutto un insulto al Cinema, prima ancora che a Norma Jean e gli uomini della sua vita.
Blonde: La trama
Il film ripercorre la vita di Norma Jeane Baker fin dalla primissima infanzia. Dopo gli abusi subiti dalla madre Gladys (Julianne Nicholson), affetta da gravi problemi psichiatrici, la bambina viene presa in custodia dai vicini di casa, i quali la abbandoneranno a loro volta, portandola in orfanotrofio con l’inganno.
Blonde proietta quindi direttamente lo spettatore nel futuro, quando Norma Jeane viene ufficialmente trasformata dal suo agente in Marilyn Monroe (Ana de Armas). Inizia così un’odissea fatta di laidi produttori, relazioni infelici e distruttive, il desiderio frustrato della maternità, e su tutto la nostalgia costante e ossessiva di quel padre che lei non ha mai incontrato.
L’odissea dei sentimenti si concentra allora sul threesome, la relazione a tre che avrebbe legato Norma Jeane a Charlie Chaplin Jr (Xavier Samuel) e il suo amante Eddy (Evan Williams), poi sul primo turbolento matrimonio con Joe DiMaggio (Bobby Cannavale). Procede con il secondo matrimonio con il commediografo Arthur Miler (Adrien Brody).
Infine, rappresenta la presunta relazione sessuale tra Marilyn e John Fitzgerald Kennedy (Caspar Phillipson) come preludio della fine, atto conclusivo di una spirale di scelte auto-distruttive, destinate a terminare con una morte ineluttabile.
Blonde: Recensione in anteprima
Un insulto a Cinema, prima ancora che a Norma Jean Baker, o Marilyn che dir si voglia, per un film che fatalmente sembra rispecchiare ogni singola accusa mossa da Florence Pugh prima e dopo Venezia 79 ai danni di Don’t worry darling di Olivia Wilde.
E in questo caso non si tratta purtroppo di una polemica strumentale o forse di una forma di auto-promozione in chiave Me too e Female Power, bensì della pura e desolante verità di un biopic strutturato interamente sull’immagine iper-sessualizzata della protagonista, la nudità ostentata, l’attenzione insistente e morbosa su una vita sessuale e sentimentale deragliata.
Il regista Andrew Dominik vorrebbe forse convincerci che esasperare l’idea che Norma Jean sia sempre stata oggetto di violenza e attenzioni morbose, dentro e fuori dallo schermo, dovrebbe rappresentare il suo riscatto. Ma quel che resta è invece una cosa sola: il primo film Netflix vietato ai minori, un prodotto di mercato, abbastanza provocatorio perché incontri sicuro successo.
Blonde: Ricostruzione storica e distorsione dell’icona Marilyn Monroe
Tra le molte mezze verità promozionali che hanno accompagnato l’anteprima mondiale di Blonde a Venezia 79, c’era anche l’idea che il regista Andrew Dominik, adattando il romanzo di Joyce Carol Oates, abbia riprodotto fedelmente le più celebri fotografie scattate a Marilyn Monroe, quei ritratti firmati da Cecil Beaton, Milton Greene e Bert Stern che l’hanno resa immortale.
Purtroppo, l’iniziale fascinazione per queste immagini, effettivamente fondate su un attento processo di ricerca e ricostruzione storica, cede presto il passo al dualismo pasticciato del bianco e nero e del colore, che in teoria dovrebbero riservare al Technicolor la rappresentazione della diva, al bianco e nero il dramma dell’essere umano Norma Jean Baker.
Una ambivalenza che perde consistenza e coerenza già nella prima metà del film, che sembra alternare il bianco e nero e il colore, il realismo e la CGI senza alcun criterio credibile, che non sia la ricerca di una regia superficiale, schiava dell’idea di ricercare la stranezza, la sorpresa e la distorsione a tutti i costi.
Blonde: Tutte le incongruenze storiche e le invenzioni del biopic Netflix su Marilyn
In questa serie sistematica di provocazioni morali e visuale non c’è ombra di rispetto per la donna né per la diva, nessun senso del limite rispetto alla verità storica, nessuna percezione che Norma Jean, come d’altra parte Joe DiMaggio o John Fitzgerald Kennedy fossero persone, esseri umani, non icone né funzioni della fiaba.
Vogliamo infine almeno citare le principali, grandissime incongruenze storiche del biopic Blonde. Su tutte, la totale assenza di Bobby Kennedy, amante di Marilyn Monroe negli ultimi mesi della sua vita, considerato da molti il vero mandante o comunque il responsabile morale di quel presunto suicidio, che ucciderà la giovane donna il 4 Agosto del 1962, a soli 36 anni.
Il film sembra infatti per altro sposare la versione dell’epoca, ovvero che Norma Jean sia sprofondata in un baratro auto-distruttivo di alcool e barbiturici. L’ultima comparsa sulla scena sarà allora quella di JFK, mentre gli storici non hanno mai chiarito la verità sulla loro eventuale relazione, mentre di certo Marilyn ha amato follemente suo fratello Bobby, fino all’ossessione.
Andrew Dominik ha preferito concentrarsi piuttosto sugli aborti volontari e spontanei. Joe DiMaggio? Un italo-americano ignorante, geloso e possessivo. Il loro breve matrimonio sarà certo litigioso. Ma il film propone un marito brutale, pronto a pestare la moglie di botte, fatto che non trova alcun riscontro nelle testimonianze degli amici né le carte del divorzio.
John Fitzgerald Kennedy? Un indifferente erotomane circondato da amanti, pronto a consumare Marilyn alla stregua di un pezzo di carne. In pratica, la scusa per rappresentare una lunga scena di fellatio, estrema umiliazione per l’icona e anche per Ana de Armas, che in compenso ha liberamente scelto di accettare la sceneggiatura e la parte.
Non c’è traccia dell’ironia di Norma Jeane, la sua passione per la lettura e per lo studio del metodo Strassberg, il suo lungo percorso di psico-analisi, l’amore degli amici e le amiche che hanno tentato strenuamente di restare al suo fianco, contribuire alla sua personale guerra contro la disperazione.
Il film sembra così travalicare decisamente il limite della dignità e del rispetto, che si parli della protagonista o degli altri personaggi sulla scena, rappresentati come un branco di lupi pronto a divorare il bel corpo di Ana de Armas, ben più esile e contemporaneo di quello di Marilyn, il suo bel volto, truccato per aderire perfettamente al mito.
Dopo l’anteprima mondiale alla 79. Mostra del Cinema di Venezia il film sarà disponibile su Netflix il prossimo 28 Settembre. Difficile che Andrew Dominik possa competere con altre opere in concorso, da Gli spiriti dell’isola di McDonagh a The Whale di Aronofsky, per non parlare dell’ultima sorpresa ieri al Lido, Gli orsi non esistono di Jafar Panahi.
Per conoscere tutti i vincitori, continuate a seguirci.