Scissione: il lavoro come prigionia mentale | RECENSIONE

Scissione
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Scissione: la serie diretta da Ben Stiller e con Adam Scott rappresenta una realtà distopica e spersonalizzante sul lavoro nel futuro

Scissione (Severance) è una delle migliori nuove serie uscite nel 2022. In streaming su AppleTV+, è stata ideata da Dan Erickson e gli episodi sono stati diretti Aoife McArdle e, in una veste inusualmente drammatica, Ben Stiller. La prima stagione è uscita a febbraio di quest’anno mentre in aprile è stato confermato l’arrivo di una seconda.

La serie (seguono SPOILER sulla trama) racconta le vicende di un team lavorativo in una realtà sottilmente distopica nella quale un’azienda, di nome Lumon, dà ai suoi dipendenti la possibilità di separare vita privata e vita lavorativa. Completamente: eseguito un vero e proprio intervento chirurgico a livello cerebrale, entrando e uscendo dall’ufficio il dipendente si sdoppia in due persone diverse.

Nessuna delle due ha memoria di ciò che fa l’altra e l’ufficio è sotterraneo, controllato e senza vie di fuga. In questo modo l’individuo lavoratore può dedicarsi a tempo pieno al suo impiego e l’altro può godersi la giornata libera da impegni. Ma ovviamente non è tutto rose e fiori, come scopre presto il protagonista Mark Scout (Adam Scott, famoso per Parks and Recreation).

Infatti, al di là della rottura del ciclo circadiano (il lavoratore tecnicamente non ha mai esperienza del sonno) e la privazione di varie fasi della condizione umana (il lavoratore non ha una vita di relazione), il mondo “sotterraneo” dell’ufficio ha decisamente qualcosa che non va. A cominciare dall’impiego in sé: radunare gruppi di numeri su uno schermo e dividerli in maniera “istintiva”.

Inizialmente felice e soddisfatto della sua condizione, Mark inizia a cambiare opinione quando nell’ufficio arriva Helly, che rimpiazza un altro dipendente e si ritrova sorpresa e scontenta che l’altra “sé” l’abbia condannata a questa vita. In effetti l’ufficio, asettico e privo di svaghi se non quelli strettamente decisi e consentiti dall’azienda, somiglia molto ad una prigione.

Una serie esistenziale che solleva dubbi e timori sulla realtà del lavoro, ma non solo

E con il passare degli episodi il gruppo dei quattro colleghi (tra i quali anche John Turturro) se ne rende conto sempre più, domandandosi nel frattempo che vita facciano gli altri “sé” e se siano consapevoli di come una parte di loro sia di fatto prigioniera del lavoro. E iniziano quindi a volersi liberare.

Severance diventa preso una grande allegoria del mondo del lavoro spersonalizzante e automatico. Cioè il lavoro d’ufficio di una volta che va svolto con la regolarità di macchine e senza spazio per problemi personali. Ma l’uomo non è una macchina e la serie mira a dimostrare proprio questo, con momenti grotteschi che portano ciascun personaggio a confronto con sé stesso.

La trama si complica nell’esplorazione della storia dell’azienda Lumon, i cui fondatori e CEO sono venerati come idoli del passato. Nel frattempo sembrano esserci piani segreti in ballo anche per il mondo esterno. La prima stagione si chiude su un cliffhanger che lascia aperte molte domande ma solleva anche parecchi spunti di riflessione.

Sarà questo il lavoro del futuro? O è un’elaborazione degli spettri di un’era lavorativa del passato, che mirava a creare assurdamente automi costretti da rigidi orari d’ufficio, rovinando così intere generazioni? Pensiamo al famoso burnout, lo stress lavorativo che arriva ad annullare completamente un individuo. Un concetto accettato e riconosciuto appieno solo in anni recenti.

Si può andare poi ancora più a fondo: che cosa sappiamo davvero di noi stessi? Quali sono le parti di noi che non vogliamo accettare e quali le nostre scelte per noi nocive ma in fondo compiute sempre personalmente? Ogni scena della serie mira a rispondere a questi quesiti esistenziali, il tutto su uno sfondo di dark comedy che lascia spesso spazio a tensione e persino paura. Una serie da recuperare subito.

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