Spesso si indica come ultimo concerto dei Beatles quello sul tetto a Londra nel 1969, ma di fatto i quattro avevano smesso di esibirsi dal vivo già tre anni prima. Ecco come, e perché
Vero è che nella mitlogia del Beatles tecnicamente l’ultimo concerto dal vivo del quartetto risale al 30 gennaio 1969, allorché i quattro si esibiscono a sorpresa sul tetto dell’edificio che ospita la loro etichetta, la Apple. L’esibizione viene catturata per le riprese del film Let It Be (e la ritroviamo nel documentario Get Back di Peter Jackson) e vi assistono pochi fortunati passanti.
Si tratta di un concerto d’addio non progettato però per un pubblico pagante ma piuttosto come sorpresa eclatante per sancire, anche se ancora nessuno lo sa, la fine del gruppo. I quattro si riuniranno infatti solo brevemente nell’estate dello stesso anno per registrare il loro canto del cigno, Abbey Road, per poi sciogliersi definitivamente.
Se però è corretto indicare questo come appunto “ultimo” concerto effettivo dei quattro, è anche vero che la data alla quale risalire per recuperare la memoria dell’ultimo concerto vero e proprio del Beatles è alquanto precedente. Torniamo infatti indietro di tre anni, al 29 agosto 1966, quando i Fab Four si esibiscono al Candlestick Park di San Francisco.
Proprio quello è infatti l’anno nel quale i quattro decidono di smettere di andare in tour, per diverse ragioni. La prima e la più ovvia riguarda l’impossibilità di suonare dal vivo dato l’enorme chiasso provocato dalle maree di fan urlanti. Ne scaturisce un’altra ragione: i Beatles si chiedono se questa folla che grida sia veramente interessata alle canzoni, o sia solo lì per vedere qualcuno famoso.
Sono gli anni in cui i mass media contribuiscono a creare i primi fenomeni culturali globali e i Beatles sono appunto uno di questi. Non è sbagliato asserire che in molti di coloro che corrono a vederli lo fanno appunto solo perché sono famosi, senza necessariamente capire o neanche tentare di interpretare i loro brani.
L’ultimo concerto della band davanti a un pubblico pagante
Inoltre, in quel periodo la band è fin troppo richiesta in tutto il mondo e anche dalle televisioni, ragion per cui i quattro “inventano” quasi per caso i videoclip musicali da abbinare ai loro nuovi singoli e da inviare alle varie emittenti. “Praticamente inventammo MTV” avrebbe commentato anni dopo Harrison, implicitamente rimarcando l’impossibilità per la band di essere ovunque in qualunque momento.
Alla cessazione della loro attività dal vivo vanno aggiunte come motivazioni anche le esperienze negative tratte da varie disavventure, come quando, poche settimane prima, rischiano di restare prigionieri del dittatore Marcos nelle Filippine a causa di un’incompresione. E non dimentichiamo la polemica attorno alla faccenda “Più famosi di Gesù”, risalente a quella primavera e ancora molto viva.
Il clima quell’estate è insomma fin troppo caldo e il quartetto, sottoposto a una pressione e a un’attenzione globale senza precedenti, decide di dedicarsi pienamente all’attività in studio. Scelta che li porterà a creare i loro più incredibili capolavori, a partire da Revolver (1966) e passando per Sgt. Pepper (1967) e il famoso White Album (1968).
A quell’ultimo concerto del 29 agosto prendono parte “solo” 25mila persone in uno stadio di 42mila posti. Comunque relativamente poco per i Fab Four, che indefessamente si esibiscono con un setlist di 11 canzoni, comprendenti cover (Long Tall Sally, Rock and Roll Music) e i singoli più recenti (Day Tripper, Paperback Writer).
Forse sapendo che si tratta della loro ultima esibizione ufficiale i quattro danno spettacolo come non mai lasciando una folla entusiasta, e John Lennon accenna le note di In My Life in uscita. Più tardi, sull’aereo, testimoni riferiranno di aver sentito Harrison esclamare: “Questo è quanto. Non sono più un Beatle“. Come sappiamo non era proprio così, per fortuna. Non ancora.