Finalmente in sala Men, il nuovo film firmato Alex Garland che dopo la parentesi televisiva, torna sul grande schermo con quello che si prospetta essere l’horror dell’anno. Anche se probabilmente ridurre questo film ad una sola e semplice etichetta è, per l’appunto, riduttivo.
Sono molte le sfaccettature che questa nuova opera presenta, dallo shock (vedasi le reazioni all’anteprima a Cannes) alla sua intrinseca complessità simbolica, che meriterebbe un approfondimento a parte, visti i suoi molteplici simbolismi.
Men, la Trama
La perfetta Jessie Buckley interpreta Harper, una giovane donna che fugge da un dramma familiare verso un paese sperduto nella campagna inglese. Lì incontra Geoffrey, un perfetto Rory Kinnear, che la introduce nella nuova magione che occuperà per qualche tempo. Tuttavia, iniziano ad accadere cose molto strane che metteranno a dura prova la già fragile psiche di Harper.
Men, la Recensione
“Not all men“: recita soave così, l’argomentazione magna di chi tenta di controbattere questioni prettamente femministe legate alla disparità di genere. Che per molti aspetti è come dire che non tutti i ratti portavano la peste nell’infausto passato. Ma tant’è. In questo nuovo film, Alex Garland sembra voglia proprio partire da questo assunto per comporre la sua nuova ultima fatica.
Un’allegoria sulla tossicità mascolina che si appoggia ad un folk horror di Hammeriana memoria. Eppure il cinema di Garland sembra aver trovato un adagio ben preciso e lineare, una poetica che guarda alla natura in un’ottica profondamente epicurea. Una natura matrigna, che ha su di noi umani una forza specifica che attrae e respinge allo stesso tempo, impossibile da comprendere.
È chiaro dunque che il fil rouge che lega i film di Garland sia proprio saldamente legato alla fitta boscaglia che circonda e costringe le vicissitudini dei suoi protagonisti. Tuttavia, in Men, il regista cambia genere e soprattutto registro, mescolando a suo modo Ex Machina e Annientamento. Il realismo del primo, la fantascientifica realtà del secondo. Un’unione che crea atmosfere oniriche e reali al tempo stesso.
Appare ormai dunque chiaro che Garland sceneggiatore e regista sia quantomai interessato all’oscurità dell’uomo e della natura. Già dalle sue prime sceneggiature era chiaramente visibile, ancor di più con i suoi film. In Men però troviamo un plus che permette al film di non “limitarsi” a guardare all’umanità in singolo, quanto più alla collettività .
Una collettività che mette gli occhi addosso ad Harper, la scruta e la giudica, nei suoi momenti di debolezza. Basta un urlo liberatorio dentro una chiesa a far partire un sermone non del tutto richiesto sul perdono cristiano e sulle sue due facce. Una, più clemente e comprensiva, l’altra che fa spallucce e suggerisce di ignorare, in nome di non si sa bene cosa se non un “è sbagliato ma è sempre successo“.
Alternando presente e passato, con flashback dalla fotografia calda ed accogliente, volta ad aumentare il paradossale senso di oppressione, Men racconta la storia di una donna in soggiogata dai sensi di colpa. Sentimenti che non dovrebbe avere ma che al tempo stesso ne è costretta dal mondo che la circonda, che vomita e partorisce costanti j’accuse nei suoi confronti, non in quanto Harper ma in quanto donna.
Lo shock che Garland vuole restituire, viene costruito attraverso un costante crescendo di tensione, mettendo in scena perfettamente il senso di angoscia che la povera Harper è costretta a subire. L’apparente banalità della storia viene dunque sostituita fotogramma dopo fotogramma con le sensazioni e l’emotività della protagonista.
Impossibile non sentirsi costretti come Harper, altrettanto complesso non provare empatia per ciò che suo malgrado subisce. Tanto a Londra, durante le discussioni con il ex marito, quanto a Cotson, con la sua aura misteriosa e personaggi dalla discutibile etica.
Con Men, Alex Garland è alla costante ricerca di un’atmosfera ben precisa, di una raffinatezza stilistica che riesce ad esaurirsi in ogni momento. Le immagini risultano sempre profondamente evocative e ancor più cariche di simboli. Esattamente come il controverso Madre! di Aronofsky, per intenderci, seppur con altri intenti e risultati.
Il surrealismo onirico che caratterizza la realtà presente in Men non può che rimandare al cinema di Kaufman, a quella sensazione di claustrofobia del già sopracitato suo ultimo film. Tuttavia, Garland non si limita a quello che può essere un omaggio o una semplice ispirazione.
Passo dopo passo, l’incubo di Harper sarà il nostro incubo. Vivremo e sentiremo ciò che lei vive e sente, magari riuscendo anche a guardare dentro di noi, come un pensiero latente che, come insegna Reidd, puoi ignorare ma non puoi fingere. Cosa che, ancor più del finale a tinte “splatter“, causerà un senso di disturbo ed inadeguatezza, magari anche di rabbia.