Thor: Love and Thunder, Recensione del miglior film dedicato al dio norreno
Thor: Love and Thunder è forse il miglior film dedicato alla divinità norrena, in cui Taika Waititi spinge al massimo sull'acceleratore, tra citazioni, colori pop e un villain indimenticabile
In principio fu Thor: un eroe vecchia scuola diretto da Kenneth Branagh, che affrontava tutte le tappe del più canonico viaggio dell’eroe. Un uomo diviso tra i desideri e i doveri, alle prese con una vicenda di amletica memoria. Di tutto questo non rimane che una flebile eco ora che Thor: Love and Thunder è pronto ad arrivare al cinema.
Il debutto è atteso per mercoledì 6 luglio e quello che arriverà al cinema è probabilmente il miglior film dedicato al personaggio di Thor e anche il migliore del Marvel Cinematic Universe nell’era post Endgame.
Alla regia ritroviamo Taika Waititi che eredita il buon lavoro già fatto con Ragnarok e lo porta su livelli ancora più alti, che rendono Thor: Love and Thunder un piccolo gioiello pop, post-moderno, con una comicità che sembra quasi richiamare quella iconica di Mel Brooks.
Di cosa parla Thor: Love and Thunder?
Tutto inizia con Gorr, il macellatore di dei (Christian Bale), che deluso dalla fede riposta in divinità pigre e crudeli, decide di vendicarsi uccidendo ogni dio dell’universo. Quando il massacro compiuto dal possessore della necrospada arriva ai Guardiani della Galassia (che compaiono per brevi scene), Thor (Chris Hemsworth) decide di andare a New Asgard per capire cosa sta succedendo.
In città, però, arriva anche Jane (Natalie Portman) alle prese con una sfida più grande di lei e alla ricerca di risposte che potrebbero cambiare il corso della sua vita. Il viaggio, però, porta Jane a iniziare una nuova avventura, accettando il ruolo di Potente Thor, guerriera pronta a scendere in campo per distruggere Gorr e salvare un nutrito gruppo di bambini.
Impossibile andare più a fondo di così nella trama di Thor: Love and Thunder senza correre il rischio di rovinare l’esperienza di visione: dal citazionismo a scelte pulp che guardano orgogliosamente al kitch, l’ultima fatica di Taika Waititi è un tesoro da scoprire pian piano.
Thor: Love and Thunder, Recensione
Un viaggio folle ma pieno di cuore
I puristi della Marvel spesso arricciano il naso per il largo uso che il Marvel Cinematic Universe fa dell’ironia per tratteggiare i suoi protagonisti che, secondo questo assunto, finiscono per essere tutti simili l’un l’altro, appiattiti in una sorta di goliardica presa in giro.
Forse consapevole di questa problematica e con un controllo maggiore sull’intera opera, Taika Waititi sceglie di non premere sul freno, ma di aumentare i giri di una narrazione folle, assurda, tremendamente pop, che in qualche modo sancisce una forma di rottura con il passato.
Tra capre giganti, donne svenevoli, gonnellini alzati come per fare l’inizio di una danza e centinaia di altre scene al limite tra il genio e il trash, Thor: Love and Thunder archivia l’idea di divinità irraggiungibile e perfetta e porta sullo schermo uno spettacolo dove ad avere la meglio è proprio l’imperfezione, l’errore, il tentativo di approdare a uno status quo sociale e riconosciuto dall’immaginario collettivo, senza però riuscirci.
Infarcito di citazioni e omaggi, Thor: Love and Thunder rappresenta la rilettura post-moderna del cinecomic: in qualche modo prende in giro tutto ciò che è stato detto di Thor in passato, il suo mito e la sua leggenda e lo trasporta nel nuovo secolo della nuova fase Marvel, dove niente è sacro e tutto è lecito.
Ma al di là dell’uso dei colori eccessivi, di una colonna sonora che da sola vale il prezzo del biglietto, il nuovo film di Taika Waititi non è solo immagine e risata: sotto ai toni più sferzanti e folli resta in bella mostra un’ampia galleria di riflessioni e spunti narrativi interessanti.
Dal rapporto tra l’umano e il divino, dall’ossessione e il fanatismo religioso, fino all’inaffidabilità dei propri miti personali, Thor: Love and Thunder è un film che parla di perdita e di seconde occasioni, che parla dell’elaborazione del lutto e di quel tema portante di tutta la narrativa Marvel sulle seconde famiglie, quelle che non sono legate dal sangue, ma da una vicinanza d’anima e di moralità.
Se la prima parte del film è votata soprattutto all’eccesso e alle risate – c’è una riunione di dei che fa venire le lacrime agli occhi per le risate – la seconda parte si sveste di quel tono pop e dei colori di esso rappresentativi per diventare un racconto struggente e cupo, che da una parte richiama l’estetica de Le cinque leggende, dall’altra mostra invece la capacità del regista di bilanciare diversi toni, ritmi e generi.
Un discorso a parte, poi, lo merita il villain di questa nuova operazione targata Marvel. Il film si apre con un prologo volto proprio a presentare Gorr, l’antagonista dei protagonisti. Un prologo che miscela una realtà che da una parte guarda a Mad Max: Fury Road, dall’altra invece discende direttamente da Alice nel paese delle meraviglie.
Basta dunque una manciata di frame, un piccolo numero di inquadrature per portare lo spettatore a guardare quasi con misericordia al cattivo della storia. In passato, nella maggior parte dei film della Marvel, i cattivi erano in qualche modo portatori di quel Male che il Bene supremo doveva sviscerare dalla terra. Malvagi che volevano avere la supremazia sugli esseri umani o che, più semplicemente, volevano ucciderli.
Gorr, invece, può essere inteso come una sorta di moderno Prometeo, colui che rubò il fuoco agli dei per darlo agli umani e passò il resto della vita a pagare per la sua scelta. Gorr non è un malvagio tout cour, non è un antagonista che vuole schiacciare l’umanità per la propria sete di potere.
È un uomo disilluso, tradito e arrabbiato, che accetta l’oscurità della vendetta per sradicare dal mondo non coloro che lo abitano, ma coloro che pensano di poter prendere decisioni al posto degli altri.
In questo senso Gorr è forse il personaggio più interessante di questo film, complice anche una straordinaria interpretazione di Christian Bale, che varrebbe davvero una nomination ai prossimi premi Oscar. Portatore di tenebra e paura, Gorr è ammantato anche da un’aurea struggente che non può fare a meno di commuovere e nel rapporto tra il villain e Jane c’è quell’anima su cui il film di Taika Waititi non lesina mai.
Piccola nota a margine: Thor: Love and Thunder è pieno di piccoli ma spassosissimi cameo che non vi lasceranno indifferenti. Va detto che se non avete amato i toni esagerati di Ragnarok, forse questo non è il film adatto a voi.