Imagine Dragons – Mercury Act 2 | RECENSIONE

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Gli Imagine Dragons tornano con un indie che è decisamente troppo pop e colmo di sentimentalismi

Un passo falso per gli Imagine Dragons, band sulla scena da esattamente dieci anni, doveva arrivare prima o poi. Ed eccolo qui: questo Mercury Act 2, seconda parte di un progetto iniziato l’anno scorso con ben altre premesse, rivela una band finalmente stanca o incapace di proseguire con la decisione di un tempo.

Che si tratti di mancanza di idee pura e semplice, dell’ingresso in una nuova comfort zone fatta di ballad, sentimento, voce strozzata e arpeggi, o del tentativo di costruire un disco “profondo”, il risultato è lo stesso. In Mercury Act 2 tre canzoni di numero si salvano: Sharks, Blur e Sirens, quest’ultima l’unica con uno sprazzo di quell’antico e incisivo indie pop che la band faceva un tempo.

Perché di indie qui non c’è quasi più nulla. Sembra in effetti di sentire i Chainsmokers, o i peggiori Clean Bandit, nella produzione di brani che saranno anche emotivamente toccanti ma che a livello di suoni non regalano nulla di interessante. E tanto peggio visto che parliamo della band che aveva realizzato avventure musicali stupende come Gold, I Bet My Life, Believer.

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Mercury Act 2 è stato prodotto da Rick Rubin

Vero che gli anni ’10 sono finiti, il revival anni ’80 è passato e così l’impulso delle band indie alla riscoperta di suoni passati e artificiosi. Vero anche che in tantissimi stanno rispolverando i generi acustici e analogici, le chitarre e gli strumenti. D’accordo, ma se è questo il punto si tratta di constatare come questo tipo di cambiamento non faccia per nulla gioco alla band di Las Vegas.

Perché davvero per Dan Reynolds la tentazione di re-inventarsi come crooner o come cantante soul (che non è il suo, decisamente) sembra davvero a un passo da qui. E non l’aiuta l’ascolto trascinato a fatica di un disco davvero ostico (nel senso di, diciamolo, noioso). Una tracklist di più di un’ora e per di più appaiata a quella dell’album precedente è pesante da reggere.

Che il disco sia un concept sul cordoglio e sulla perdita di persone care è un’idea che sembra deciderne il tono e speriamo quindi che si tratti di una “fase” passeggera o di un esperimento a sé stante. Perché gli Imagine Dragons sono ancora una buona band. E hanno ancora tanto da dire, ma per farlo fanno ancora in tempo a tornare a ciò che sanno fare meglio: l’indie pop.

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