Quello tra Scott Derrickson ed Ethan Hawke è un binomio che, ormai possiamo dirlo, è una garanzia. Dopo l’acclamato Sinister, torna il duo composto dal regista e dell’attore con Black Phone, un film dalle atmosfere quantomai cupe e non troppo lontane dal loro primo sodalizio.
Stavolta però a tenere banco è il solito discorso sull’adattamento. Black Phone infatti è la trasposizione dell’omonimo racconto di Joe Hill, scrittore figlio d’arte del celeberrimo Re della letteratura horror, Stephen King. Cosa che però ci interessa relativamente giacché, è bene ricordare sempre, libro e cinema sono due media diversi con regole altrettanto diverse.
Black Phone, la Trama
C’è un rapitore seriale che sta sconvolgendo le vite di una cittadina americana. Siamo sul finire degli anni Settanta e il terrore di sparire per mano del Rapace è tantissimo. La sfortuna vuole che questi riesca ad afferrare anche il giovane Finney, un ragazzo che ha problemi tanto con il bullismo quanto con un padre fin troppo manesco.
Rinchiuso dentro uno scantinato, dovrà trovare la forza di restare lucido e soprattutto un modo per uscire vivo di lì. Forse però, il giovane potrebbe non essere solo. Un telefono nero, senza fili collegati, squilla insistentemente. Potrà essere la sua salvezza?
Black Phone, la Recensione
Il male e i suoi volti, spesso mascherati. Il che può suonare strano giacché proprio le maschere stanno dominando il cinema industriale di oggi. Eppure, non tutte sono benevole e pronte a salvare il prossimo. Molte di queste rappresentano una pulsione di morte, incontenibile, mossa da un trauma o più semplicemente da una sadica follia.
Nel 1978, nella classica periferia della provincia americana, tra bullismo, reazioni avverse e violente allo stesso. E abusi familiari, come quelli subiti dai due piccoli protagonisti. O per meglio dire, quelli che oggi sono considerati tali, come la vecchia cinghiata che, per parafrasare i più anziani, “non ha mai fatto nulla di male, anzi“. Senza addentrarci nella pedagogia, così come non fa neanche Black Phone, ci spostiamo sul film firmato Scott Derrickson e su ciò che vuole raccontare, soprattutto come.
Sono molte le affinità di quella piccola che risponde al nome di Sinister. Affinità che per certi aspetti mettono in luce la passione del regista di Doctor Strange verso i classici filmini in 8mm, con la loro pellicola granulosa.
Se però in Sinister questi erano praticamente alla stregua di snuff movie, in Black Phone sono come delle guide oniriche per la risoluzione del caso. Spetta infatti alla perfetta Madeleine McGraw ascoltare il suo inconscio per poter ritrovare il fratello, tra un omaggio a It e qualche momento di pura e innocente indipendenza femminile.
Ciò che però colpisce, soprattutto a livello visivo, è proprio la ricercatezza di Derrickson nello stacco brutale, in antitesi con le classiche dissolvenze in nero che nascondono i rapimenti. Dissolvenze che fanno intuire come quel perfido male mascherato riesce ad avere la meglio su un’innocenza infantile spezzata troppo presto.
La potenza di Black Phone infatti si trova proprio nel voler offuscare la violenza, preferendo una via più complessa, quella della tensione. Non sappiamo cosa accadrà alle vittime, possiamo solo vagamente intuire il sadico gioco del Rapace. Questo il nome che la massa cittadina ha affibbiato ad un grandissimo Ethan Hawke in un inedito ruolo.
Luce e oscurità dunque che si alternano con violenza, colpendo l’occhio dello spettatore. Black Phone si svolge principalmente nel buio scantinato dell’antagonista, di cui non sappiamo pressoché nulla. Come un’entità malvagia e senza un background (il che è un bene, oggigiorno), il Rapace semina terrore tanto nel povero Finney quanto nello spettatore. Una presenza violenta, folle, anche sadica. Eppure mai lo si vedrà agire in una cieca ferocia.
Troppo facile per Derrickson ricercare lo shock visivo in un accanimento verso una povera vittima. Il regista sceglie infatti di caricare l’atmosfera, di lasciare il Male mascherato come una spada di Damocle che penzola sulla testa del protagonista. La strada intrapresa è quella dell’angoscia, la medesima che prova il protagonista, preda di quelli che forse sono semplici deliri o forse presenze benevole. A voi la risposta che più vi aggrada.
La tensione dunque è i leit motiv che accompagna Black Phone per tutta la sua durata. Un film che riesce a tenere lo spettatore incollato allo schermo dall’inizio alla fine. Sia chiaro che, così come in Sinister, anche qui ci sarà ben più di uno jumpscare, una tecnica da sempre (ab)usata nell’horror commerciale.
Tuttavia Black Phone non si adagia sugli allori dello spavento e del salto sulla poltrona, cosa che di fatto rende l’horror fatto, compiuto e consumato. Derrickson però non si accontenta di far consumare quel brivido lungo la schiena nell’immediato, preferisce farlo rimanere costante, anche a costo di farlo intiepidire. Ma solo per poi richiamarlo anche più forte di prima.
Impossibile non consigliare Black Phone agli amanti dei thriller ma anche e soprattutto degli horror, vista la presenza di un sovrannaturale perfettamente dosata e mai invadente. La Blumhouse ha colto nel segno ancora una volta, confermandosi di poter regalare perle all’altezza anche dei palati horror più fini.
Cast
- Ethan Hawke: Il Rapace
- Mason Thames: Finney
- Madeleine McGraw: Gwen