Era l’8 dicembre del 2000 quando esordì in Europa Kao The Kangaroo, platform sviluppato da Tate Multimedia che vedeva protagonista un canguro australiano dotato di fenomenali guantoni da boxe. Il videogioco si inserì perfettamente all’interno di quella che potremo definire “l’epoca d’oro del platform” riuscendo ad ottenere un successo tale da garantirsi altri due capitoli: Kao the Kangaroo Round 2 (2003) e Kao the Kangaroo: Mystery of the Volcano (2005). All’improvviso però la serie scomparve dai radar, per riapparire diciassette anni dopo con il nuovo Kao The Kangaroo di cui oggi possiamo leggerne la recensione.
Dal punto di vista narrativoKao The Kangaroo si presenta piuttosto semplice ma non per questo meno godibile. Il nostro canguro del cuore, insieme al suo maestro Walt e al pilota Gadget, parte per un lungo viaggio alla ricerca del padre e della sorella scomparsi. Il trio svelerà poi un fitto mistero legato al pericoloso Potere Eterno a cui sono legati tutti gli eventi che si dipaneranno durante l’esplorazione dei quattro biomi di giochi. Grottesca e surreale, questi gli altri due aggettivi con cui potremmo definire la nostra avventura. Kao infatti non mostrerà alcuna forma di ansia o preoccupazione dovute al possibile rapimento dei suoi familiari. Una spensieratezza che in qualche modo abbiamo assorbito anche noi nelle cinque ore necessarie per arrivare ai titoli di coda.
Ad eccezione di un colpo di scena – anche abbastanza telefonato – la storia scorre via che è un piacere tra citazioni a TikTok e YouTube, spiagge caraibiche e lande ghiacciate. Il cuore del gioco rimane tuttavia il gameplay, che propone una formula tanto semplice quanto efficace.
Tale Multimedia dimostra con Kao The Kangaroo tutta la sua esperienza pregressa con il platform. Non vogliamo fare confronti con produzioni ben più grandi come Psychonauts 2 (qui la nostra recensione), ma parliamo comunque di un’ottima costruzione delle mappe. La forza principale della produzione è proprio la capacità di sorprendere continuamente l’utente, grazie a scelte di design che vengono svelate di volta in volta in ciascun livello. Tutto ciò determina una progressione continua che elude del tutto il rischio di monotonia tipica di un’opera di questo genere.
Il merito inoltre, non va solo alla disposizione delle piattaforme su cui atterreremo tra un salto ed un altro e all’ottima responsività dei comandi, ma anche ai guantoni da boxe e alla loro capacità di assorbire i poteri elementali – ad esempio il ghiaccio e il fuoco – che ci consentiranno di interagire con specifici elementi dell’ambiente.
Kao The Kangaroo è in tutto e per tutto un videogioco vecchio stampo dalla struttura lineare – non mancano alcune aree segrete – e con le classiche boss fight di fine mondo. Il boxeur canguro potrà contare su un combat system basilare, costituito da tre colpi concatenabili e un potente attacco ad area. Il difetto principale del titolo risiede proprio nella difficoltà dei combattimenti, troppo tarata verso il bassoe non modificabile.
La facilità negli scontri è evidenziata sia da una scarsa resistenzadella gran parte dei nemici – una combo completa manda l’avversario KO – che da un’intelligenza artificiale altalenante. È capitato più volte di affrontare un mob da solo mentre il suo compagno ci osservava immobile a tre, quattro metri di distanza. Si tratta comunque di una problematica marginale che non ha mai inficiato la nostra esperienza nel suo complesso.
Conclusioni
Tate Multimedia ha sviluppato un videogioco spensierato, che trasmette serenità al giocatore grazie anche alla sinergia tra il comparto grafico e sonoro. Un cocktail da gustare sdraiati in spiaggia, mentre si ricordano i tempi videoludici ormai passati. Kao The Kangaroo è una lettera d’amore indirizzata ai fan della saga e, da un punto di vista ancora più allargato, a tutti gli appassionati dei platform di vent’anni fa. Noi siamo tornati bambini, la sensazione che più ci aspettavamo di provare dopo aver visto il primo trailer di presentazione.