Kendrick viviseziona scene quotidiane e le mescola a ricordi d’infanzia; narra storie che potrebbero essere vere o inventate con l’ispirazione di un Bob Dylan del rap, in un affastellarsi di immagini che sembrano tratte da film, romanzi, serie tv. E su tutto, ovviamente, si pone la domanda fondamentale: a cosa sono disposto per “farcela” in tutto questo? Fino a dove potrei arrivare per difendere me e quelli che amo?
La morale e la moralità costituiscono quindi il fulcro tematico dell’album, estrinsecato in tutte le direzioni possibili. Ecco quindi la paralizzante lite maschio/femmina di We Cry Together, che sembra la risposta invertita vent’anni dopo alla famosa Kim di Eminem (2000); o lo sfogo a tema “daddy issues” di Father Time, cantata con Sampha.
Di pezzi forti ce ne sono parecchi altri. Crown in particolare è un momento di incredibile e felice intuizione artistica, brano nel quale Kendrick riflette sul suo ruolo come uomo e come artista e ripete “Non posso accontentare tutti”; un po’ il dogma dell’uomo nuovo (inteso come persona) nel mondo nuovo iper-relazionale.
Ma grandi momenti li ritroviamo anche nella lunga riflessione dal sapore autobiografico di Mother I Sober, nella quale il rapper espone traumi passati accompagnato per l’occasione, mai scelta più adatta, da Beth Gibbons dei Portishead; oppure nella visione distorta del mondo che emerge dal free-flow di Worldwide Steppers.
Musicalmente il rapper non espande i suoi suoni, non ricorre al jazz o al funk o alle radici della black music preferendo invece l’essenzialità di toni hip-hop da campionamento più classici; ci sono momenti soul e momenti gangsta, con alcuni occasionali crescendo orchestrali nei passaggi argomentativi più delicati. Ma in linea di massima non è sbagliato parlare semplicemente di un album rap; o hip-hop.
Un disco naturalmente fatto di sfumature e sfaccettature nascoste in ogni rima e in ogni nota, che qui possiamo solo iniziare ad esplorare superficialmente. La stessa simbologia della già iconica copertina ci rimanda a molteplici livelli di lettura: Kendrick è un Gesù moderno (la corona di spine) che protegge la sua famiglia con una pistola a malapena nascosta nei pantaloni, in quello che sembra un tugurio.
Ed è questo quello che ritiene di essere? Lui è “il signor Morale”, che fa lezioncina a tutti? E si scontra con gli “stepper”, che in gergo sono persone quiete ma violente e pronte ad esplodere? O magari lo schema va invertito? Chi è lui per parlare, per giudicare, per descrivere e dire la sua con tanta importanza? Quest’ultima forse è la domanda alla quale, davvero, in questi meravigliosi settanta minuti Kendrick cerca di rispondere.