Il maggio di Netflix Italia sembra aver preso i primi anni 2000 come terreno di pesca – e sfogliando il catalogo, non si può non ripensare all’incosciente anarchia produttiva di quel periodo.
Tra i primi sviluppi della distribuzione digitale e il suo definitivo affermarsi nel decennio successivo, le sale parevano ancora il tempio immutabile dell’esperienza audiovisiva: c’era internet ma non lo streaming, i dvd ma non l’on demand, la Marvel ma non l’MCU. Il superhero movie era ai tempi ancora un oggetto in fase di studio, capace di permettersi avventure “sperimentali” che oggi, con il genere giunto alla sua perfettibilità ingegneristica, con incassi pre-definiti e calcolati al centesimo, paiono inconcepibili.
All’ Hulk di Ang Lee è toccato passare alla storia come il prototipo del Marvel “brutto”; opera particolare, raffinata, cupa e piuttosto anti-spettacolare, testimonia però una fase in cui era ancora pensabile un’interpretazione “autoriale” del genere. Chissà che, dopo quindici anni di Kevin Feige, non si riparta da qui.
Van Helsing – Stephen Sommers (2004)
Se l’Hulk di Lee peccò cercando di convincere un pubblico adulto e “serio”, Van Helsing può vantare un primato di disprezzo autenticamente trasversale.
Il film di Stephen Sommers resta ad oggi uno dei più odiati della storia, punito con l’oblio e privato persino della solita riscoperta in chiave cult. Riesumato con occhio critico, è effettivamente un compendio degli orrori caratterizzanti il suo periodo storico-produttivo; ci si potrebbe scrivere un tema sul trionfo del postmodernismo più cretino (double-bill ideale con l’aborto gemello La Leggenda degli Uomini Straordinari), il digitale primitivo, i riferimenti giovanilisti a metà tra i videoclip dei Rasmus e i picchiaduro della PS2...
Come un sogno febbrile semi dimenticato, Van Helsing torna su Netflix, e oggi come ieri trovarvi qualità artistiche è difficile. Il recupero di vecchi blockbuster (quando ancora si chiamavano così) ha però sempre il suo senso feticista-archeologico; si parla in fondo di un’era in cui il cinema commerciale godeva della propria imbecillità, prendendosi gli insulti con filosofia, e incassando senza sforzo cifre per cui metà dei Disney moderni sacrificherebbe il suo 97% su RottenTomatoes.
Ancora Auguri Per La Tua Morte – Christopher Landon (2019)
Due decenni dopo i gloriosi flop dei primi franchise moderni, oggi ci si trova nella situazione opposta. Nell’eterno ritorno dei reboot e dei revival, le saghe originali di successo si contano sulle dita di una mano: la caccia all’IP riparte da zero, e la creazione di icone cinematografiche slegate da romanzi, videogiochi e fumetti è tornata centrale. E mentre le major spremono il poco che resta sul fondo degli anni ’80 (presto toccherà a Top Gun), è l’horror l’unico genere a mantenere la propria dignità cinematografica – continuando a “fare immaginario”, inventando e reinventandosi.
Certo, i mille fantasmi dello scorso decennio non fanno un Freddy Kruger, e dalla fine di Saw anche l’horror contemporaneo è bloccato nella ricerca di un nuovo grande riferimento iconografico.
L’Happy Death Day di Christopher Landon si è sobbarcato l’onere di tracciare un nuovo eroe slasher, e dopo due film sembra esserci riuscito; il suo dittico è uno dei rari instant cult recenti, ennesimo lampo di genio Blumhouse, che in un colpo solo trova il suo nuovo The Conjuring, e una nuova maschera sanguinaria da aggiungere alla galleria classica.