Klonoa è uno dei titoli di culto per la prima PlayStation nonché uno dei prodotti Namco più peculiari di sempre
Ci sono titoli videoludici risalenti agli anni ’90 che, a distanza di tanto tempo, ancora colpiscono per la loro particolarità. Klonoa: Door to Phantomile, videogioco Namco del 1997, è sicuramente uno di quelli. Un prodotto davvero unico (a parte il sequel, Lunatea’s Veil) che ancora oggi rimane tra i più interessanti esperimenti dell’epoca.
Tutto nasce, neanche a dirlo, dal Giappone. E per la precisione dai sogni e dalle visioni di Hideo Yoshizawa, che concettualizza la creazione di un mondo onirico ma basato sull’immaginario tradizionale nipponico e sul caratteristico legame che unisce la cultura del paese alle sue immagini spirituali e immaginifiche.
In questo mondo di sogno, a metà tra fantasy e versioni lisergiche della provincia giapponese, si muove il ragazzo animalesco Klonoa. Un giorno uno dei suoi sogni si avvera, e la realtà si trasforma in un incubo. Un essere malvagio vuole corrompere il suo mondo e, nella più fiera tradizione cavalleresca, lui solo (con il fedele aiutante Huepow, uno spirito incastrato in un anello) può fermarlo.
Un lavoro unico e irripetibile
Inizia quindi il suo viaggio tra panorami fantastici e realistici insieme, tra visioni di nemici da incubo ma allo stesso tempo grottescamente “pupazzeschi”, proprio ciò che ci si aspetterebbe da un’incredibile realtà onirica. Allo stesso tempo, le vicende che Klonoa vive sono tremendamente concrete e i panorami che deve attraversare via via sempre più inquietanti.
Il gioco è un platform 2D side-scrolling: Klonoa si può muovere solo in due direzioni ma in realtà gran parte del level design sfrutta grafiche e meccanismi 3D piuttosto avveniristici per l’epoca. Per esempio, quando Klonoa attiva un determinato meccanismo può osservare lo sfondo o il paesaggio cambiare il tempo reale.
Gli ambienti sono stratificati e sfaccettati, fornendo la possibilità di apprezzarne il disegno d’insieme ed essendo in questo senso funzionali alla natura puzzle di gran parte dei livelli. Puzzle che spesso possono diventare tremendamente complicati, quasi sfide intellettuali vere e proprie che consistono nella vera difficoltà a proseguire di stage in stage.
Puzzle, platform, adventure (e molto altro)
Se quindi l’elemento puzzle richiama i meccanismi di un Tomb Raider o anticipa quelli della serie di Uncharted; il platform riprende chiaramente i meccanismi dei più classici Super Mario; e lo spazio prezioso conferito alle ambientazioni anticipa le ambizioni di un ICO; se tutte queste componenti vengono messe insieme, ne risulta chiaramente un lavoro superlativo.
Ma l’aspetto più prezioso consiste nel fatto che Klonoa supera tutti i limiti e i meccanismi imposti dalla coniugazione di questi generi, mettendoci qualcosa di suo in ogni angolo e rivelandosi perciò una sorpresa continua. Non fa eccezione la trama, colma di colpi di scena e di svolte emozionanti e spesso anche crude, per un pubblico di minori.
Chiaro che a rileggerlo oggi ha tutto da perdere rispetto anche a titoli in stile vintage nostalgici prodotti negli ultimi tempi. Ma tanto più per questo motivo il gioco va apprezzato se confrontato con il panorama videoludico dell’epoca; che del resto, soprattutto in campo PlayStation, lasciava uno spazio davvero incredibile a giochi fuori dalle righe e che a tutt’oggi rimangono esemplari unici.
Klonoa: Door to Phantomile | Testato su PlayStation 4