L’attacco è naturalmente nei confronti dell’immagine idilliaca della famiglia americana bianca e middle class, l’immagine stessa del benessere di quegli anni. Kurt, scettico (e con le sue buone ragioni) nei confronti di questo modello ideale fin da piccolo, si immagina che i personaggi della sit-com nascondessero dei terribili segreti.
Nello specifico, in una specie di messa in scena di un Texas Chainsaw Massacre ante-litteram, si figura di essere rapito quando va a farsi la barba dal barbiere Floyd. In seguito altri personaggi ripresi dalla sit-com (Barney, la zia Bee e persino il piccolo Opie, intepretato tra l’altro da un giovanissimo Ron Howard) infieriscono su di lui, torturandolo.
La prima parte del testo introduce la situazione di una giornata qualunque. “Kurt” (o il protagonista) va dal barbiere: “La campanella sulla porta rintocca, entra pure / Floyd osserva il mio mento barbuto / Siediti sulla sedia, non aver paura / Un asciugamano fumante e caldo sulla faccia“.
Seguono i versi che descrivono l’atto della rasatura: “I was shaved / Sono stato rasato“, che diventeranno però importanti solo dopo. Nel frattempo la situazione si trasforma: “Barney mi lega alla sedia / Non posso vedere, sono veramente spaventato / Floyd respira pesante, sento una zip aprirsi / Il suo ‘pipino’ [pee-pee] premuto contro le mie labbra“.
Una fellatio forzata quindi, che del resto fa da preludio ad una scena se possibile ancora più orribile: “Sento gli altri nella stanza / Opie, la zia Bee, immagino / Fanno a turno e mi fanno a pezzi / Muoio nel manicotto della zia Bee“. E gli ultimi due ritornelli sostituiscono la parola “shaved” (rasato) con “shamed” (fatto vergognare): “I was shamed, I was shamed“. Un’allegoria intensa e raccapricciante.