Peaky Blinders 6, la Recensione della stagione finale

Per quanto ci spezzi il cuore ammetterlo, il momento è arrivato: Peaky Blinders prende commiato dalla TV con la sesta stagione. Sarà stata una chiusura degna di una serie tanto amata?

Peaky Blinders
Condividi l'articolo

In linea di massima nessuno avrebbe desiderato l’arrivo di questo giorno: nessuno era davvero pronto all’idea che Peaky Blinders arrivasse alla conclusione. Negli ultimi anni le avventure di Thomas Shelby e dei personaggi che gli si muovevano intorno era diventata una prova incontrovertibile della qualità nei prodotti di intrattenimento.

Negli ultimi anni si è fatto sempre un gran dire di come la televisione avesse, in qualche modo, raggiunto (e a volte superato) la qualità cinematografica quanto a costruzione del racconto, resa tecnica e costruzione dei personaggi: tutti elementi che in questi anni hanno caratterizzato Peaky Blinders diventato un simbolo dell’eccellenza della serialità britannica (e non solo).

La verità è che tutti saremmo stati pronti a seguire le vicende del personaggio interpretato da Cillian Murphy ancora per numerose stagioni. Ma – sebbene la possibilità di un film sia all’orizzonte – è anche vero che la qualità di un prodotto si evince dal punto di chiusura.

Ecco allora la recensione della stagione finale di Peaky Blinders che, vi ricordiamo, arriverà su Netflix il prossimo 10 giugno. Sarà una recensione spoiler free per quanto riguarda la sesta stagione, ma se non avete ancora visto la quinta, procedete a vostro rischio e pericolo.

Peaky Blinders 6: il trailer ufficiale

Peaky blinders 6: Recensione

Vita e dannazione di Thomas Shelby

La sesta e ultima stagione di Peaky Blinders inizia dallo stesso punto in cui si era fermata la quinta e, nello specifico, al momento in cui Thomas Shelby è costretto a fronteggiare il proprio fallimento e l’idea di farla finita. Un’idea che sembra vivere dentro di lui fin dalla prima stagione: Thomas Shelby, in effetti, si è sempre portato tatuato addosso un certo sentore di morte, come se l’inferno stesso avesse plasmato la sua vita.

LEGGI ANCHE:  Tom Hardy possibile protagonista di una nuova serie dall'autore di Peaky Blinders

Questo è l’elemento fondante della sesta stagione di Peaky Blinders: sebbene ci siano intrighi da scoprire, attentati a cui sfuggire e nemici a cui dimostrare che don’t fu*k with the Peaky Blinders, la sesta stagione dello show di Steven Knight restringe il campo e si concentra ancora di più sul suo protagonista.

In effetti, se si volesse trovare un difetto a questa stagione si potrebbe dire che, a un primo sguardo, i primi episodi appaiono lenti, quasi rarefatti, in netto contrasto con il ritmo delle stagioni passate, dove era l’azione a fare da padrone.

Non che non ci sia azione in questa sesta stagione: perché c’é, eccome. Eppure – soprattutto all’inizio – c’è una sorta di rallentamento, una rarefazione che serve a mettere a fuoco Thomas, a disegnarne i contorni proprio mentre lui si fa smarginato, inconsistente, a metà strada tra ciò che è reale e ciò che invece è legato alla leggenda e ai rituali persi nella tradizione familiare.

Questa stagione sembra insistere proprio sul concetto di ciò che è vero e ciò che invece è manipolato: senza indugiare oltre su questo concetto per paura di fare spoiler, il punto è che la sesta stagione di Peaky Blinders è costellata di fantasmi, alcuni più corposi di altri: mondi grigi che Tommy deve attraversare mentre lui stesso comincia a sentirsi inconsistente.

La stagione finale è senza dubbio una stagione incentrata sul protagonista come essere umano e non come leader di una famiglia: è una stagione in cui l’unico sangue che ha importanza è quello di Thomas Shelby. Un sangue da cui non si può scappare e che è avvelenato, pericoloso, ma non per questo meno prezioso.

LEGGI ANCHE:  Paul Anderson colpevole di possesso di crack e cocaina

In questo senso gli ultimi sei episodi di Peaky Blinders sono molto diversi dai tanti che li hanno preceduti, ma allo stesso tempo sono il punto di arrivo perfetto per una serie che ha voluto colpire il proprio pubblico fino alla fine.

Un giusto finale?

La domanda principale da porsi, tuttavia, è se Peaky Blinders 6 rappresenti un finale soddisfacente per tutta la serie. La risposta è sì.

Nonostante sia oggettivo ammettere che l’ultima stagione abbia mostrato qualche punto debole laddove le passate erano pressoché inattaccabili, il percorso dello show non solo è coerente, ma è anche interessante.

L’ultima stagione ci ha dimostrato che Peaky Blinders è sempre stato uno show su Thomas Shelby: non come leader con ambizioni di espansione, ma come un uomo che cercava nel potere un modo per fronteggiare la sensazione di aver perso il controllo durante la prima guerra mondiale.

La storia di un uomo sempre stato spezzato, a cui la vita non ha risparmiato niente e che ha continuato a colpirlo: i lutti, i tradimenti, gli abbandoni. Elementi utili alla trama per farla avanzare, ma anche ami che si tendevano sulle crepe di un protagonista sempre oscuro, maledetto e, per questo, affascinante.

Thomas Shelby non è mai stato un eroe e la sesta stagione conferma questa tendenza: la presa di consapevolezza di avere sangue marcio nelle vene. Di essere uno dei cattivi. Ma, allo stesso tempo, Thomas fa parte dei “nostri” cattivi, per cui l’empatia per il suo percorso rimane altissima e coinvolgente. E la sesta stagione tiene conto di anche questi elementi, creando un finale con qualche gioco pirotecnico, ma con la lente sempre puntata verso il suo assoluto, indimenticabile protagonista.