Squid Game è stata la serie rivelazione del 2021: girata dal regista coreano Hwang Dong Hyuk, questa via di mezzo tra Takeshi’s Castle e Battle Royal ha collezionato milioni di visualizzazioni e una nutrita schiera di appassionati.
Come avviene di solito in queste occasioni, Squid Game ha anche generato una sua intera mitologia, panici da emulazione, numerose fan theories e un’accesa discussione sulle fonti di ispirazione per la sceneggiatura. Una di queste – poco conosciuta in Italia – ci porta dritti dritti a una ghost story coreana.
Squid Game – La fan theory sui ddakji
Tra le numerose fan theories sviluppate su Squid Game, una delle più interessanti riguarda il gioco del “reclutatore”. Dal momento che si trova proprio all’inizio della serie, non crediamo di fare troppi spoiler spiegandone le regole.
Il protagonista della nostra vicenda viene infatti convinto da uno sconosciuto incontrato in metropolitana a giocare a ddakji, una variante coreana di Pog. I due contendenti hanno entrambi un cartoncino, costruito ripiegando due fogli di carta in un origami quadrato. A turno, devono scagliare il proprio ddakji contro quello dell’avversario posto a terra. Vince chi riesce a capovolgere il cartoncino “nemico” con la forza del suo colpo.
Ebbene, la fan theory riguarda la domanda posta dal reclutatore all’inizio della sfida: “Rosso o blu?”, chiede infatti lo sconosciuto al protagonista, riferendosi al colore del cartoncino.
C’è chi ha messo in relazione questo elemento con i vestiti di guardie e giocatori, nel corso del film: chi sceglie il blu verrebbe reclutato come partecipante (tuta verde/azzurra), chi sceglie il rosso come carceriere (divisa rosa/rossa). Realtà o fantasia?
Come spesso accade, la fan theory è andata ben oltre le intenzioni originali dello sceneggiatore. Lo stesso regista Hwang Dong Hyuk ha commentato:
“So che ci sono un sacco di supposizioni sul conto del Reclutatore. […] Gli spettatori sono senza dubbio più creativi di quanto non sia io”.
E ha spiegato che la domanda voleva invece essere un riferimento a una leggenda metropolitana molto popolare in Corea del Sud, quella di “carta rossa, carta blu”.
Una ghost story coreana
Provate a immaginarvi la scena: siete uno studente di una scuola coreana. Siete rimasti nell’edificio fino a tardi, è già buio, siete soli, e avete bisogno di andare in bagno. Mentre siete lì ad espletare i vostri bisogni, sentite una voce che vi chiede: “Carta rossa o carta blu?”.
È un fantasma che infesterebbe le scuole di ogni ordine e grado. Se scegliete la carta igienica rossa verrete squartati, fatti a pezzi o scuoiati – insomma, finirete la vostra breve esistenza in un lago di sangue. Se invece optate per il blu, il fantasma vi strangolerà o prosciugherà interamente le vostre vene, lasciandovi lividi e bluastri. Eh, sì: qualsiasi risposta darete, farete una brutta, bruttissima fine.
Se in caso di avvistamenti di fantasmi può aver senso provare a indagare per cercare di capire cosa si nasconda dietro ai racconti, qui non ci sono testimonianze e circostanze precise da analizzare; siamo di fronte a una classica leggenda metropolitana a tema paranormale, come quelle sull’autostoppista fantasma o su Bloody Mary. Quello che si può fare, invece, è cercare di capire perché la storia si diffonde, quali varianti sono presenti e quali corde profonde va a toccare.
La leggenda infatti non è diffusa solo in Corea, ma si ritrova nel folklore di molti Paesi del Sud-Est asiatico. In Giappone l’entità di “carta rossa, carta blu” prende il nome di Aka Manto ed è uno Yokai (praticamente, una via di mezzo tra un demone e uno spettro).
In questa versione, il fantasma è solitamente vestito con una tunica rossa. Secondo il folklorista Matthew Meyer, la leggenda è in circolazione almeno dagli anni Trenta – periodo in cui i bagni erano spesso costituiti da una semplice buca in cortile sormontata da assi, da cui poteva spuntare la mano scheletrica dello spettro.
La storiella, poi, si è probabilmente fusa con le altre (numerosissime!) storie di fantasmi giapponesi noti per infestare i bagni delle scuole, come la più celebre Hanako-san.
Leggende scolastiche da tutto il mondo
“Carta rossa, carta blu”, è il classico racconto creepy diffusissimo tra i bambini coreani, che circola gettando un’ombra scura su particolari istituti scolastici o particolari zone all’interno degli stessi. Notiamo, en passant, che questo elemento lo rende particolarmente appropriato a comparire (anche solo come riferimento) in una serie come Squid Game, che si basa proprio sulla reinterpretazione mortale di giochi ed elementi dell’infanzia.
Quanto alla nostra leggenda, la trasmissione avviene proprio tra bambini e ragazzi: spesso è il compagno più grande a raccontarla alle matricole, indicando il nome di qualche vittima precedente o il bagno in cui il fattaccio sarebbe accaduto.
Spesso, infatti, la narrazione è accompagnata dal consiglio di evitare un particolare ambiente o una certa zona della scuola; nel caso in cui siano presenti più toilettes allineate, quella infestata sarà quasi immancabilmente la quarta (il numero 4, infatti, in molte lingue asiatiche ha un suono simile alla parola “morte”, cosa che ha generato in molti Paesi superstizioni simili a quelle occidentali verso i numeri 13 o 17).
L’appello a un comportamento da seguire (che permetterebbe di evitare Aka Manto o i suoi omologhi) è proprio quello che sancisce il successo di molte leggende: perché sì, il mondo è un luogo oscuro e spesso spaventoso; ma se conosci i “simboli dei ladri”, ecco che potrai prevenire le intenzioni dei criminali; se eviterai quel tal supermercato in quel particolare giorno, non dovrai più temere eventuali attacchi terroristici; e così via… Anche per le leggende scolastiche può valere un discorso del genere.
Nel 1989, l’antropologa Sara Delamont pubblicò su Qualitative Studies un articolo dedicato alle leggende scolastiche britanniche e americane (The nun in the toilet: urban legends and educational research).
Partendo dalla storia del fantasma che infesterebbe sempre i bagni delle scuole inglesi, Sara Delamont ha provato a capire il ruolo sociale di queste leggende: gli istituti superiori vengono in genere presentati come ambienti ostili e spaventosi; ma se si evita quel professore, se non si passa da quel corridoio, se non si va in bagno da soli… Insomma, se si mettono in atto certe prudenze, sarà possibile superare la fase di adattamento alla terrificante scuola superiore.
Lo stesso discorso potrebbe valere anche per Aka Manto, che si rivela così una fortissima strategia di controllo dell’ansia: di fronte a una scuola nuova, con nuove regole e nuovi ambienti, ogni consiglio di comportamento – per quanto basato su storielle inventate – è comunque un buon aiuto psicologico.
Le mille varianti di una storia di fantasmi
Data la diffusione della leggenda, comunque, non stupisce che su “carta rossa, carta blu” si siano innestate tantissime variazioni sul tema: in alcune varianti della storia, ad esempio, la domanda posta diventa “Veste rossa o veste blu?”, oppure “Mano rossa o mano blu?”.
In altre, la scelta riguarderebbe diverse coppie di colori, come bianco/rosso o giallo/rosso (scegliere il bianco o il giallo si traduce, di solito, in una morte per annegamento all’interno della latrina stessa, oppure in una mano bianca che esce dalla fossa e strangola lo studente).
Il carattere fondamentale di questa leggenda, però, rimane quello dell’ineluttabilità: sebbene siano state registrate anche varianti “più soft” della storia, quasi sempre la vittima rimane uccisa, a prescindere dalla risposta data.
L’unica possibilità sarebbe quella di non rispondere al fantasma, di confonderlo rispondendo un altro colore o di scappare non appena si sente la voce. Eppure, in alcune varianti della leggenda anche queste strade sono precluse: se si cerca di andar via, si ritroverà la porta dei bagni immancabilmente serrata; tirare in ballo una tinta diversa, invece, porterebbe semplicemente a una nuova modalità di morte (la vittima, ad esempio, finirebbe risucchiata all’inferno per l’eternità).
Quella posta dal fantasma, insomma, è di fatto una non-scelta: quando appare Aka Manto e il “gioco” è partito, la fine è ormai segnata. In questo, il riferimento alla leggenda si adatta alla perfezione a Squid Game, la cui particolarità rispetto a opere cinematografiche come Battle Royal o Hunger Games è proprio il fatto che il protagonista ha deciso volontariamente di partecipare.
Ma – ci si potrebbe chiedere – aveva davvero un’alternativa? E le molte scelte poste ai partecipanti nel corso del gioco (quella sulla “formina” del secondo gioco, o quella sulle pettorine nel quinto) sono davvero scelte libere? O sono invece illusioni di libero arbitrio, visto che i protagonisti non hanno un quadro completo della situazione, e sono obbligati a decidere prima di sapere ciò che comporta ognuna delle opzioni?
Forse sono anche queste scelte illusorie, come quelle poste dal fantasma dei bagni coreani: qualunque sia la risposta, la morte è inevitabile – o, quanto meno, decisamente probabile.
A cura di Sofia Lincos