Storie di vendetta, onore, tradimenti, tradizione, lacrime, sorrisi e sangue: ecco i tratti dominanti del cinema d’azione orientale. Dagli anni Cinquanta a oggi, centinaia di cineasti hanno portato in scena il sentimento più importante che accomuna l’Oriente: la battaglia. Dopo essere stati sconfitti in guerra o colonizzati, i Paesi orientali hanno visto la propria identità disintegrarsi e smarrirsi nel corso della storia.
Ecco perché il cinema d’azione orientale rispolvera antichi eroi o ne crea di nuovi. Ecco perché le ambientazioni riguardano spesso passati periodi di splendore. La profonda e peculiare psicologia dei personaggi, oltre all’elemento storico sempre presente, sono quindi i due elementi che rendono unico tale cinema.
Inoltre l’azione orientale è senza dubbio molto più stratificata di quella occidentale e si compone di diversi sottogeneri. Se il samurai può trovare una controparte nel cowboy, il discorso non vale per le varie tecniche di arti marziali, oltretutto differenti da un Paese all’altro. Dal karate al kung fu, passando per il muay thai, il cinema d’azione orientale ha appassionato e influenzato tutto il mondo con la sua originalità.
Tuttavia, molti purtroppo ritengono tuttora che il genere action sia di “serie b”, come accade anche per l’horror. Vi invitiamo allora a partire dalla lista che troverete in questo articolo, inaugurata da uno dei titoli più influenti della storia del cinema.
01) I sette samurai (1954) – Akira Kurosawa
Giappone, fine XVI secolo. Un villaggio di contadini è minacciato da una numerosa unità di briganti, che ne deruba i raccolti e ne incendia le case. I cittadini decidono quindi di passare all’azione reclutando alcuni samurai per difendersi. Nonostante essi godano di cattiva fama tra i contadini, il primo a essere reclutato, Kambei Shimada (Takashi Shimura), sembra affidabile. Ma trovarne altri non è un’impresa facile.
Apre la lista sul cinema d’azione orientale non solo il prototipo del genere (a livello mondiale), ma anche uno dei migliori film mai realizzati. Pur essendo principalmente un jidai-geki, ossia un dramma storico giapponese, l’opera presenta diverse sequenze d’azione. Da rapidi duelli tra spadaccini fino allo scontro finale tra samurai e briganti, I sette samurai, insieme al precedente Rashomon, renderà Kurosawa noto in tutto il mondo, e con lui il cinema di samurai.
La produzione del film fu molto travagliata. Akira Kurosawa si rifiutò di girare in uno studio e preferì far ricostruire le scenografie all’aperto, sulla penisola di Izu. Le riprese subirono quindi notevoli ritardi, cominciando a febbraio invece che d’estate. Tuttavia, la meticolosa ricerca del massimo realismo raggiungibile ha portato I sette samurai a essere uno dei film più influenti della storia del cinema. In particolare, il famoso western I magnifici 7 (John Sturges, 1960) è dichiaratamente ispirato all’opera di Kurosawa.
Nel cast occorre segnalare in particolare l’interpretazione di Takashi Shimura e Toshirō Mifune. Il primo interpreta un rōnin (samurai senza padrone) ormai invecchiato e desideroso di ritirarsi, disposto però a battersi per i più deboli. Mifune, invece, porta in scena Kikuchiyo, un finto samurai dai modi rozzi. Egli cerca di contenere il terrore dei contadini, facendo anche la morale ai samurai, rei essi stessi di molti saccheggi ai danni dei contadini. La potenza di Kikuchiyo dipende molto dall’improvvisazione di uno dei più grandi attori di sempre.
02) Dalla Cina con furore (1972) – Lo Wei
Shanghai, 1910. Huo Yuanjia, maestro di arti marziali (realmente esistito) e fondatore della scuola Jingwu Tiyu Hui muore improvvisamente in circostanze misteriose. L’allievo Chen Zhen (Bruce Lee), rimasto sconvolto dalla notizia, crede che non si tratti di polmonite ma di un omicidio. Durante la commemorazione del maestro, la rivale scuola giapponese invade quella di Chen…
Dopo che The Chinese Boxer (Jimmy Wang Yu, 1970) inaugurò l’ingresso del kung fu sul grande schermo, Dalla Cina con furore contribuì ad affermarne l’interesse. In particolare, il film ne mostra tutti i tratti: la ferrea disciplina, il codice d’onore e la rivalità tra le varie scuole. I combattimenti sono perlopiù psicologici e le mosse sono spesso accompagnate da grida, divenute cifra stilistica del genere. Nel 1994, Gordon Chan diresse poi un remake del film, Fist of Legend, divenuto un cult anche per la presenza di Jet Li.
Dalla Cina con furore ha inoltre consolidato la fama internazionale di Bruce Lee, un’icona del genere nonostante l’esigua filmografia. Sull’insegna del motto “be shapeless” (“sii senza forma”), l’attore e artista marziale ha portato la sua filosofia zen in tutto il mondo. In particolare, nel film in questione egli ha dato vita al personaggio di Chen Zhen, considerato un eroe del cinema cinese. Questi rappresenta infatti un riscatto contro la dominazione culturale giapponese di Hong Kong che caratterizzò gli anni Sessanta e Settanta.
Considerando lo stile, il regista Lo Wei stringe spesso primissimi piani sugli occhi del protagonista in preda al furore. I campi medi e le figure intere contraddistinguono invece le scene di combattimento. Restano memorabili due momenti: lo scontro tra Bruce Lee e Petrov (Robert Baker) e la distruzione di un cartello dei giapponesi contro i cinesi. Le due scene, insieme alle diverse sequenze corali di lotta, hanno contribuito all’incredibile eredità del film.
03) The Street Fighter (1974) – Shigehiro Ozawa
Takuma Tsurugi (Sonny Chiba) è uno spietato sicario che alle armi preferisce il karate. Dopo aver portato a termine con successo e astuzia l’ultimo lavoro, alcuni malavitosi gli propongono il rapimento della figlia (Yutaka Nakajima) di un magnate del petrolio appena deceduto. Ma Takuma rifiuta non appena scopre che i mandanti sono yakuza. Questi, però, non la prendono bene…
The Street Fighter ha acquisito subito fama per essere stato il primo film a ricevere la X-rated negli Stati Uniti per la sola violenza. Infatti, tale visto veniva affibbiato solo ai film pornografici. Nella pellicola sono infatti presenti svariate scene cruente, come un’evirazione a mani nude e un’estrazione di corde vocali. Per tali motivi, l’opera tuttora circola in parecchie versioni differenti.
Il protagonista del film è Sonny Chiba, icona del karate voluta anche da Quentin Tarantino per l’Hattori Hanzō di Kill Bill: Vol. 1 (2003). Come Bruce Lee, anche Chiba è noto per l’interpretazione estremamente caricata durante le mosse dei combattimenti. Tuttavia, la sua filmografia presenta situazioni molto più estreme e a tratti assurde quanto a violenza. L’opera riscosse parecchio successo, dando vita a 2 seguiti e 4 spin-off.
Shigehiro Ozawa si sofferma sui movimenti ponderati di Sonny Chiba, stringendo spesso sulla mezza figura per evidenziarne la gestualità. Da ricordare in particolare due scene: il combattimento tra Chiba e il maestro del dojo Masaoka (Masafumi Suzuki) e la difesa da un assalto in auto. Nella prima il protagonista ha un mancamento, vede Masaoka triplicato e subito dopo ricorda il padre trucidato durante la guerra attraverso un filtro grigio. Nella seconda, invece, Chiba spezza il cranio a un nemico con uno stile che ricorda (ovviamente ante-litteram) le fatalities di Mortal Kombat.
04) Drunken Master (1978) – Yuen Woo-ping
Wong Fei-hung (Jackie Chan) è un aspirante lottatore di arti marziali che passa le giornate a bighellonare e a cacciarsi nei guai. Quando il rinomato padre (Lam Kau), un maestro di kung fu, scopre l’atteggiamento del figlio, affida il suo recupero al misterioso zio. Questo è infatti il rigoroso e temutissimo Chi Su-hai (Yuen Siu-tien), artista marziale appassionato di lotta e… di vino.
Riproponendo lo stesso cast e tenore di Il serpente all’ombra dell’aquila (1978), Drunken Master è uno dei primi film che uniscono arti marziali e commedia. L’opera è infatti una sorta di parodia del genere, in quanto presenta personaggi storici realmente esistiti caratterizzati da una marcata vena comica. Il film bersaglia però anche la mitologia cinese: gli Otto Immortali diventano gli Otto Dei Ubriachi.
Drunken Master ha inoltre contribuito alla fama di Jackie Chan, abile tanto nella lotta quanto nella comicità. Il successo internazionale raggiunto dall’attore è forse paragonabile unicamente alle parodie di Stephen Chow, come Shaolin Soccer (2001) e il capolavoro Kung Fusion (2004). Nel cast figura inoltre Yuen Siu-tien, padre del regista e interprete di Chi Su-hai (o Beggar So), un personaggio indimenticabile nell’azione orientale.
Yuen Woo-ping dimostra la propria abilità nelle coreografie dei numerosi combattimenti, culminando nello scrontro finale tra Wong e Thunderleg (Hwang Jang-lee). L’inserimento di gag fisiche all’interno delle concitate lotte senza pausa rendono la regia di Yuen unica nel suo genere. La sua nomea lo ha quindi portato a collaborare con Quentin Tarantino nella serie di Kill Bill e con Ang Lee nel premio Oscar La tigre e il dragone (2000).