Era bastato un trailer per attirare curiosità ma anche il più classico dello sdegno prevenuto. Sdegno che, col senno di poi, è anche più che comprensibile per questo Non Aprite Quella Porta di marca Netflix. Un film che sebbene sia il nono dedicato al Leatherface creato dal genio di Tobe Hooper, si presenta come sequel diretto del primo film del 1974. Con risultati diametralmente opposti
Non Aprite Quella Porta, la Trama
Ci troviamo nei giorni nostri, in cui quattro giovani cittadini rilevano un paese fantasma nel cuore del Texas. L’idea è delle migliori, a differenza del loro atteggiamento fin troppo spocchioso e incoerente.
Proprio a causa di ciò, la furia di Faccia di Cuoio tornerà a perseguitarli, in cerca di vendetta. Sangue, urla e combattimenti fino al finale aperto quanto i cadaveri disseminati sul percorso. Nota a margine: anche qui troviamo l’ormai canonica scena post credit.
È sempre sbagliato partire prevenuti su un film, anche quando un ipotetico sesto senso già causa un certo prurito all’epidermide di chi osserva il trailer. Ebbene, il risultato era quantomeno prevedibile per questo Non Aprite Quella Porta. Il duo composto da Rodo Sayagues e Fede Alvarez, che già avevano collaborato per il remake (evitabile) de La Casa, ci riprovano con un’altra icona. Fallendo miseramente.
Partendo dalle cose buone, troviamo senz’altro un gore genuino e divertente nella sua messa in scena. Anche se il percorso per arrivare al classico squartamento è quantomeno problematico. Un po’ come accadde nell’altro remake de La Casa.
Rispettando l’ordine cronologico degli eventi, ciò che ci viene presentato è materiale che fa storcere il naso in pochi minuti. Quattro ragazzi che rappresentano la Gen Z nella sua essenza più stereotipata e grottesca possibile. Giovani che guidano una Tesla che si scontrano con gli autoctoni del posto, convinti in una loro superiorità etico-morale.
In altre parole, assistiamo allo stereotipo perfetto di come una determinata parte politica vede la sua controparte più liberale. La caratterizzazione è sicuramente ben riuscita, al punto che è quasi impossibile non stare dalla parte del male, incarnato per l’appunto dalla furia cieca di Leatherface, che si risveglia dopo un tragico incidente “burocratico“.
Proprio qui, dopo circa dieci minuti dall’inizio del film, si palesa la più grande pecca di questo sequel, ossia il voler dare un motivo alla follia di Leatherface. Questa scelta scriteriata spoglia completamente un villain iconico come lui della sua più cieca follia.
Troviamo dunque un rapporto di causalità del male, dove un’azione scatena una reazione, a differenza di quel male folle e innato che ha sempre contraddistinto il Leatherface originale firmato Hopper.
Ecco dunque che le regole dello slasher, enunciate da Mario Bava prima e da Wes Craven poi, vengono tutte ampiamente rispettate, pur con qualche modifica. La punizione che scatta per il gruppo di giovani non è per i comportamenti promiscui ma per la loro invadenza in contesti che devono essere e restare isolati.
Al netto di tutto ciò, il film diretto da David Blue Garcia, mostra numerose pecche stilistiche che vanno ben oltre la menzionata caratterizzazione. Complice anche (e soprattutto) lo script del duo Alvarez-Sayagues, Non Aprite Quella Porta mostra evidenti limiti visivi e non che rendono tutto ampiamente banale e grottesco (ma non in senso buono).
Il film predilige un’estetica ultrapop a base di luci al neon, come accade nel prevedibile massacro dentro l’autobus già mostrato nel trailer. Il che inevitabilmente spoglia il film di quell’aura marcia che aveva caratterizzato l’originale di Tobe Hooper.
Come se non bastasse, la prevedibilità regna sovrana, al punto che ogni forma di tensione viene quasi del tutto spazzata via. Sono pochissimi i guizzi registici di Garcia che probabilmente avrà prediletto la focalizzazione sugli orchestrati momenti splatter, dove il sangue sprizza insieme all’originalità degli omicidi.
Il senso di caldo opprimente, insieme ai rivedibili gusti culinari della famiglia Hewitt, sono praticamente spariti. Si menziona all’alta temperatura, si mostra un tubo fognario aperto che riversa il contenuto sulla povera Melody. Nulla più.
Eppure, il duo Bustillo & Maury, con il loro Leatherface era riuscito a dare qualcosa di originale senza distaccarsi dall’estetica di Non Aprite Quella Porta del 1976. Forse un’impresa che andrebbe ampiamente rivalutata dopo questo film decisamente insufficiente.
Infine, come ciliegina insapore su una torta scaduta da mesi, la scelta folle e senza senso di rendere Sally Hardesty una final girl che a suo modo deve passare il testimone a qualcuno. Lei ritorna in campo per distruggere la sua nemesi, esattamente come la Laurie di Halloween del 2018.
Tuttavia, sembra che nel frattempo la nostra amabile Sally abbia in realtà covato vendetta e rancore. E che abbia aspettato in un angolo pronta ad agire per tornare (o diventare) una vera final girl pronta a tutto pur di vendicarsi della strage compiuta anni addietro. E qui, ecco dunque il passaggio di testimone che molto probabilmente di donerà un sequel.
Con la speranza che quest’ultimo sia decisamente migliore di quanto mostrato in questo Non Aprite Quella Porta, per il momento ci limitiamo a suggerire di recuperare anche il primo film, in modo tale da poter constatare con i vostri stessi occhi le forzature presenti in questo sequel.