Jean-Pierre Jeaunet torna con un nuovo film dopo Lo straordinario viaggio di T.S. Spivet del 2013. Lo fa con una produzione Netflix, uscita l’11 febbraio, dal titolo Bigbug.
Jeunet, che non è mai riuscito a bissare il successo di Delicatessene, soprattutto, Il favoloso mondo di Amélie, ci riprova oggi con un film distopico e fantascientifico, sperimentando dunque un nuovo genere.
Il regista firma anche, come suo solito, la sceneggiatura del film, esplorando nuovi temi e ambienti, tentando però di mantenere una sua identità e marca autoriale.
Ecco la nostra recensione del film.
Bigbug, la trama
2045. La vita quotidiana è ormai resa semplicissima dai robot domestici. La famiglia (allargata) Barelli si ritrova insieme sotto lo stesso tetto quando il sistema di intelligenza artificiale decide di bloccare l’uscita della casa, a causa di un non ben specificato pericolo esterno.
Mentre i membri della famiglia (e gli ospiti) tentano in ogni modo di uscire, gli Yonyx, un particolare tipo di robot, sembra sul punto di iniziare una rivolta contro gli esseri umani, mentre i robot domestici cercano il segreto per diventare umani.
Bigbug, la recensione
Come abbiamo anticipato, Jeunet torna con un film molto distante da quelli a cui siamo abituati. Il genere della fantascienza non era mai stato esplorato dal regista francese, che viene sviluppato nello spazio ristretto di una casa “isolata” dal resto del mondo. Insomma quello che, in tempi passati, si sarebbe chiamato kammerspielfilm.
Letteralmente un “cinema da camera“, che fa dello spazio una marca importante, come ha fatto recentemente The Hateful Eightdi Tarantino, o meno recentemente La cosa di Carpenter (non a caso ispirazione per Tarantino) e The Big Kahuna di Swanbeck.
Una scelta che permette di sviluppare in maniera importante i personaggi, seguiti da molto vicino. In effetti uno dei punti di evidente sforzo da parte di Jeunet è proprio questo, che però rimane più intentato che realizzato effettivamente.
Del resto sono molti i punti in cui le intenzioni del regista francese rimangono, appunto, intenzioni. Il senso generale è quello di una tragicommedia da un lato troppo lunga e dell’altro troppo corta: troppo lunga per quello che vediamo, troppo corta per quello che vorrebbe raccontare.
Uomini vs. Macchine: la ricerca dell’umanità
Quello delle qualità umane e della sua ricerca è un tema che percorre tutto il film. Mentre i robot domestici, Einstein e Monique su tutti, cercano di scoprire quale sia il segreto dell’umanità, gli esseri umani che popolano casa Barelli sembrano, chi più chi meno, averla persa.
L’umanità ne esce certamente ridimensionata, ma i personaggi tratteggiati da Jeunetmancano di profondità. Il rischio stereotipo è sempre ben evidente, ed il regista non fa nulla per smarcarsi da questo pericolo.
Personaggi che sarebbero potuti essere (almeno alcuni) anche interessanti, ma che si riducono troppo spesso a macchiette che poco aggiungono all’economia di quello che è il discorso che vuole emergere dal film.
In un certo senso non è così strano quanto possa sembrare avvicinare Bigbug a Dont’ Look Up. In entrambi i film l’uomo non riesce a comprendere la fine imminente che lo attende (la rivolta delle macchine nel primo e la meteora nel secondo).
Jeunet mette in scena un film dai forti tratti distopici e dai risvolti socio-politici, ispirandosi molto a Bradbury (e la scena dei libri bruciati non può che dovere molto a Fahrenheit 451) e collegandosi al filone asimoviano già esplorato dal cinema.
Il film solleva certo domande sul futuro e il potenziale distruttivo di una temuta rivolta delle macchine, ma lo declina quasi in farsa (specialmente nel finale, poco incisivo), andando ben oltre i toni da commedia che pure troviamo disseminati nel film.
Una forma ibrida che rischia più volte di essere fatale per l’interesse dello spettatore, in una combinazione di toni che non convince del tutto.
In generale i toni rimangono sempre molto didascalici, tanto da rasentare il fastidioso in alcuni punti. La tendenza a semplificare di molte produzione Netflix non risparmia neanche Bigbug.
Un film eccessivo e sottotono
Che Jeunet abbia fatto dell’eccesso di forma e del comparto visivo è piuttosto evidente guardando i suoi film precedenti. Anche in Bigbug il regista francese torna ai suoi soliti toni, eccedendo ovunque gli sia permesso.
Jeunet passa i primi 10 minuti a mostrarci tutte le prodezze tecnologiche riprodotte in CGI di cui la casa è dotata, cercando un effetto stupore che forse, ai giorni nostri, è un po’ anacronistico.
Anche la messa in scena è piuttosto grossolana, senza particolari spunti. Bigbug sembra a tratti più una serie tv che un film, anche a causa di un ritmo altalenante e soprattutto delle terribili dissolvenze al nero che alternano le varie scene. Una scelta davvero incomprensibile che spezza il ritmo della narrazione e non fa che aumentare il senso di finzione e poca credibilità del film.
Conclusione
Facendo il punto su Bigbug, ci troviamo di fronte ad un film non del tutto riuscito, nonostante alcune premesse interessanti e gli attori di valore coinvolti da Jeunet.
La sensazione è che, forse, la storia avrebbe potuto rendere molto di più in forma seriale. Questo approccio avrebbe permesso senza dubbio uno “studio sull’umanità” veramente approfondito (e tipico di questo tipo di film claustrofobici), andando a scavare nei personaggi data la ricchezza del tempo a disposizione.
Allo stesso tempo avrebbe potuto approfondire la rivolta delle macchine, troppo brevemente liquidata nella parte finale del film con una spiegazione ai limiti dell’accettabile.
Un’occasione sprecata dunque per Jeunet, che dirige in maniera troppo grossolana un film che pure aveva il potenziale per raggiungere almeno una buona sufficienza.
Il cast
Dominique Pinon
Elsa Zylberstein
Isabelle Nanty
Youssef Hajdi
Alban Lenoir
François Levantal
Claire Chust
Claude Perron
Marysol Fertard
Helie Thonnat
Bigbug, il trailer ufficiale
Ecco il trailer italiano ufficiale del film, che, vi ricordiamo, è disponibile dall’11 febbraio su Netflix.