Phil Collins è, per molti ambienti, uno dei musicisti celebri più impopolari di sempre: come mai?
Nella musica, lo sappiamo, si possono avere simpatie ed antipatie e le si possono avere per le più svariate ragioni. Il caso di Phil Collins, tuttavia, è molto particolare. Parliamo di un artista famosissimo, celebre specialmente negli anni ’80 ma ancora oggi figura di rilievo e gigante della musica degli utlimi cinquant’anni almeno.
Un breve riassunto? Batterista dei Genesis, tra i migliori che abbiano mai preso in mano le bacchette per suonare la batteria. Poi, con l’uscita di Peter Gabriel, cantane e frontman di una band in evoluzione, che sul finire degli anni ’70 abbraccia sempre più i suoni synth e new wave mentre, contemporaneamente, lascia sempre più spazio agli accenti soul che Collins tanto ama.
Ed è nel soul, quello che viene detto di qualità “blue-eyed” (cioè, dei bianchi) che il cantante inizia la sua carriera da solista, che lo trasforma in superstar durante gli anni ’80. Dal primo, storico album (ed effettivo capolavoro) Face Value, del 1981, alle hit da discoteca ingombranti e rumorose che lo impongono come nome da classica immancabile, come Sussudio (qui sotto).
Per Collins il successo cresce a dismisura, vedendolo muoversi sempre più verso un soul che rende omaggio agli anni ’60, periodo d’oro, e la motown. Celebre è per esempio la sua cover di You Can’t Hurry Love, uno dei brani più famosi delle Supremes (qui sotto). Si lancia anche come attore, comparendo in Miami Vice e nel film Buster. Per molti, è onnipresente.
Sotto le luci della ribalta, Collins vi trascina anche i Genesis, specie con l’album blockbuster Invisible Touch (1986). I tempi sono cambiati ed è ormai chiaro a tutti come la band non sia certo più quella di The Musical Box e Supper’s Ready. Non che, attenzione, nel medesimo periodo lo stesso Peter Gabriel si muova in una direzione poi molto diversa. Il suo disco So (1986) è un altro masterpiece del blue-eyed soul di quell’epoca.
Negli anni più recenti Collins si gode un successo fatto di vecchie hit e di spettacoli emotivi incentrati specialmente sulla sua eccezionale (obiettivamente) voce e sulla sua figura da “crooner”, più che sulla sua vecchia abilità come batterista. Che, comunque, lascia il segno: dalla tecnica incredibile mostrata in più occasioni all’ideazione del famoso metodo produttivo del “gated reverb”, un must della ritmica anni ’80.