Non solo Leone e Tornatore: 10 Brani di Ennio Morricone da riscoprire
In occasione dell'uscita di Ennio, film dedicato a Morricone, al cinema dal 17 febbraio, vi portiamo alla scoperta dei grandi capolavori meno conosciuti del maestro!
Leone vuol dire western, Leone vuol dire Morricone, Morricone vuol dire western. Non un semplice sillogismo, ma la storia di un genere che in Italia nasce come una lontana eco del mito. Leone ha donato dignità allo spaghetti western, elevandolo dal cinema di genere e portandolo nel firmamento dell’autorialità . Allo stesso modo il nome di Morricone è indissolubilmente legato a pellicole come Il buono, il brutto e il cattivo o C’era una volta il West, codificando un vero e proprio genere.
Il fischio e il marranzano, i carillon e gli organi, la musica concreta e l’ampio sinfonismo. Un dolly misurato su un crescendo orchestrale, una panoramica vorticosa sui deliri dell’estasi dell’oro. Morricone e Leone hanno scritto insieme la storia del western, generando un seguito formato da qualche grande nome e da tanti pallidi epigoni. È essenziale però ricordare che l’equazione perfetta di Morricone e western non si riduce assolutamente ai film musicati per Sergio Leone.
Sergio, Sergio, Sergio
Piuttosto Morricone inizia a svelare le sue molteplici identità , spingendosi al massimo delle proprie possibilità anche nello stesso genere, e offrendo ad ogni autore la versione migliore di se stesso. Non si limita quindi a riproporre gli stilemi rodati nel cinema di Leone, ma a sperimentare, spingendo la ricerca sempre più in là dell’ultimo punto fissato. Nel caso di Sergio Corbucci, gli ultimi del cinema di Sergio Leone si radicalizzano in vere e proprie maschere di inaudita violenza. Esattamente come quel cupo mietitore che imbraccia una mitragliatrice per le lande desolate, che però porta la firma di Luis Bacalov.
Il grande silenzio resta invece come una delle più belle colonne sonore di Ennio Morricone, così intrisa del lirismo del gelido nord. Si apre una traiettoria, una di quelle coincidenze storiche che riporterà in vita proprio quel Django, nel geniale unchained di Quentin Tarantino. Il passo successivo era chiudere il cerchio del grande silenzio, tornando ad un gelido western in cui convergessero tante, troppe storie. Il resto, difatti, è davvero Storia del cinema.
Milano Odia – La polizia non può sparare, Umberto Lenzi (1974)
C’è una debita parentesi da aprire: nel cinema di genere, Morricone ha dimostrato più di una volta di aver trovato la sua dimensione ideale. Come fa notare Francesco Castelnuovo nel suo bellissimo 7 chiavi per Ennio Morricone, il nome del Maestro è l’anagramma di Crimine nero, o no. Dal crime al gangster, passando alle grandi firme dell’orrore e a qualche sparuta comparsa nello sci-fi, il nome di Morricone è indissolubilmente legato alla gloriosa tradizione del cinema di genere.
In questa nicchia Morricone ha raggiunto alcuni dei suoi massimi esiti, costruendo le proiezioni sonore dei lati più oscuri della psiche umana. Un gioco contorto in cui Morricone insegue se stesso perpetuamente, rincorrendosi fatto suono in un labirinto di specchi in cui la ricerca e la sperimentazione arrivano spesso al nucleo della sua visione. In questa fuga perpetua lo ritroviamo come eco, e ciò che sembra una mera citazione diventa invece un momento di riflessione.
È il caso di Milano Odia – La polizia non può sparare, poliziottesco che esaspera alcuni motivi di certo cinema politico e di un certo crime tutto all’italiana. E difatti il suo main title non è altro che una variazione sul celeberrimo tango da Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, dove l’arditezza armonica si spinge oltre la tonalità in una dissonante discesa di accordi.
L’ultimo treno della notte, Aldo Lado (1975)
Dario Argento, Lucio Fulci, Mario Bava, John Carpenter sono solo alcuni dei nomi di una lista lunghissima, che rappresenta un indirizzo dominante nella produzione morriconiana. È fondamentale però ricordare la collaborazione con Aldo Lado, regista con il quale ha realizzato ben 8 film. Lado è un regista al quale si guarda con ammirazione oltre i confini, e molto meno in una cinematografia che, indebitamente, non lo ha mai inserito.
Il suo cinema si popola di ultimi, di reietti, che ben prima di Bong Joon-ho e Yeon Sang-ho trovavano posto nei logori vagoni di una locomotiva. L’ultimo treno della notte è uno degli esempi più fulgidi di rape and revenge, e la sequenza centrale è un condensato di grande cinema.
Lisergiche palette che anticipano quelle di Suspiria preannunciano il climax dell’opera, mentre Morricone inizia a moltiplicare le tracce di armonica in una sorta di rituale orgiastico. Dissonanze visive e sonore si sovrappongono, in una vorticosa progressione in cui la violenza sfocia in uno stupro. Alla fine, solo lo sferragliare dei binari poteva contrappuntare quello che resta all’alba di un nuovo giorno: torna la musica concreta, in una delle prove più estreme di Morricone.