Lana Del Rey – Born to Die | RECENSIONE

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Born to Die di Lana Del Rey è un caposaldo del dark pop anni ’10. E anche molto, molto altro

Quasi nessuno la conosceva ancora come Lana Del Rey. Anzi, quasi nessuno la conosceva. Era il 2012 e la cantante americana che si faceva chiamare all’inizio solo Lizzy Grant inventava uno dei personaggio musicali di maggiori impatto della contemporaneità. Perché, di fatto, questo è oltre che artista ed interprete prodigio: un personaggio.

Una figura che sembra essere stata trasportata nella modernità da un’epoca passata, e trovandosi faccia a faccia con la realtà di oggi sembra non potere far a meno di rimpiangere quegli anni andati. Anni di un’era mitica, quella di un’America glorificata, giovane e ed entusiasta.

Gli anni ’10 sono invece anni di brutale velocità, tremanti di ansia sociale e colmi di insicurezza. Ecco allora che Elizabeth Grant indovina la giusta risposta a un’era di incertezze, re-inventandosi in questo personaggio un po’ glam un po’ gothic, un po’ vamp e un po’ kitsch, che troverebbe posto tranquillamente in un film di Tim Burton ma appartiene più all’era di Ed Wood.

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In Born to Die, già il titolo tutto un programma, Lana Del Rey contrasta i suoni digitali e multicolori degli anni ’10 con una patina di pop ombroso e sofferente, fatto di atmosfere lente, fumose e malinconiche. La musica prende dal trip hop anni ’90 e dal pop barocco d’altri tempi, ma lo stile interpretativo unico passa per la voce sensuale ma anche inconsolabile che tutti abbiamo ormai imparato a conoscere.

Dove tutto è iniziato per la regina pop della solitudine

Born to Die conquista con brani che sono ormai classici, come Videogames e Summertime Sadness, imponendo un modello di cantautrice femminile in un’epoca nella quale tra una Iggy Azalea e una St. Vincent non sembrano esserci ponti. Lana è proprio quel punto d’incontro tra un pop sempre più maturo e disincatato e un cantautorato che anela a raggiungere finalmente le masse.

Un fantasma che appare e scompare in un angolo, un volto in un ritratto antico e in bianco e nero, uno spettro in The Haunting di Robert Wise. La cantante si impone come figura nera e adombrata in un mondo forzatamente colorato. Fuori posto, così come fuori posto si sentono molti dei suoi ascoltatori e ascoltatrici.

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Quel che questo suo primo album (secondo, in realtà) cattura è proprio la delicatezza e la peculiarità caratteriale di una artista che sogna, più che guardare o agire, fuori dagli schemi. Un sogno continuo ed interminabile, che di canzone in canzone regala ombre, sagome tra la nebbia, pensieri sfuggenti e aneliti filosofici.

La produzione ricercata e quasi fiabesca del disco, con le fini costruzioni orchestrali a contrastare con la ritmica stanca e polverosa, contribuiscono alla costruzione di un mito che di “dark” e “sad” ha tutto e anche di più, anni prima di Billie Eilish e dello sdoganamento del mal di vivere nelle canzoni da classifica. Con questo album indimenticabile Lana Del Rey, vecchia e giovane insieme, anticipa e costruisce il suo stesso tempo.

Lana Del Rey – Born to Die / Anno di pubblicazione: 2012 / Genere: Dark Pop