Gennaio 2022: l’Italia è ancora afflitta dall’imperversare di Omicron, ultima variante del virusCovid-19. E dopo due anni di pandemia, i ricordi del nostro recente passato sembrano provenire da un film di Fantascienza. Molti film di genere Sci-Fi hanno immaginato l’umanità in balia di un futuro distopico, post-apocalittico. Contagion di Steven Soderbergh ha effettivamente anticipato alcuni dettagli inquietanti dell’attuale pandemia. Ma un’opera sola ha saputo descrivere l’angoscia, l’incertezza e la disperazione dell’uomo di fronte a un male che non ha volto: La febbra di Ennio Annio.
Maccio Capatonda (qui la nostra intervista) è il protagonista di una tragedia contemporanea, che procede inesorabile verso la rovina. Il nostro è un eroe solitario, condannato all’indifferenza crudele dei suoi cari, mentre un morbo devastante prende possesso del suo corpo. Come Cassandra, come Edipo, il protagonista de La febbra dovrà scontare un’altra orribile condanna: non essere creduto. Ennio Annio, tra i cineasti più arditi del panorama italiana, racconterà così la discesa agli inferi di un uomo solo, abbandonato a se stesso, deriso da medici e scienziati.
“Un virus micidiale che ti fa stare una cosa proprio malissimo.”
Il virus che coglie il protagonista de La febbra si manifesta inizialmente con i tradizionali sintomi febbrili. Ma dopo tosse, brividi e strani spasmi, il giornalista interpretato da Maccio Capatonda comprende l’estrema gravità della sua situazione. Per la fidanzata, gli amici e perfino il medico curante, si tratta solo di un malato immaginario. Il nostro eroe ha intuito subito che questo, invece, è un virus senza precedenti.
Ennio Annio adatta per il grande schermo La febbra di Phil Norimberga, bestseller di respiro internazionale, ne conserva intreccio e struttura, ma il suo punto di vista è quello di un racconto per immagini. Il suo è un linguaggio audiovisivo radicale, fondato su inquadrature distorte, disturbanti, perfetto riflesso del disagio del protagonista. E il risultato è un film capace di combinare la tensione del thriller con la profondità di un dramma esistenziale, senza trascurare la lezione del Body Horror di David Cronenberg.
Nella premessa, il protagonista de La febbra conduce un’esistenza decisamente invidiabile: giornalista televisivo di successo, vive un amore sincero e appassionato, è circondato dalla stima di colleghi e amici. Ma questo misterioso virus trasforma rapidamente la sua vita in un incubo. Persi il lavoro, la fidanza e la macchina, preda di un virus che nessuno sembra conoscere, potrà fare affidamento solo sulle proprie forze per sfuggire a un destino che sembra già segnato.
Protagonista di questi indimenticabili primissimi piani è Maccio Capatonda, che al suo esordio offre già una prova maiuscola. Al fianco di Maccio Capatonda, il regista seleziona inoltre un cast di prim’ordine, in grado di garantire profondità e spessore perfino ai personaggi secondari. Parliamo di interpreti del calibro di Ektor Baboden, Amalia Frellioje, e per la prima volta sullo schermo l’incredibile Riccardino Fuffolo.
Ma da cosa si distingue un autentico capolavoro? Dalla carica emotiva della storia, che non si esaurisce nell’arco di un solo lungometraggio, ma apre interrogativi che riecheggiano nello spazio e nel tempo. Ecco che arriva allora La febbra 2: un sequel che non delude, anzi rilancia la posta, per un nuovo viaggio all’inferno.
Se con La febbra credevate di aver visto tutto, La febbra 2 vi trascinerà oltre ogni limite. Proprio quando il nostro giornalista credeva di aver sconfitto la morte, riconquistato la serenità , la carriera e perfino quella fidanzata infingarda, ecco che il virus si ripresenta più devastante che mai.
La febbra 2 è un delirio distopico senza freni, paragonabile solo ai capolavori più radicali del genere: Allucinazione perversa di Adrian Lyne, L’esercito delle 12 scimmie di Terry Gilliam. Che cos’hanno i capolavori di Maccio Capatonda per stagliarsi perfino oltre questi titoli imprescindibili? L’ironia travolgente, inarrestabile anche più del virus. E ora che un virus c’è davvero, quell’ironia sembra preziosa più dell’oro.
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