Dai timidi esordi in ambito bedroom pop non ci ha messo molto la norvegese Girl in Red a sviluppare uno stile tutto suo, con tutte le caratteristiche dell’indie Gen Z: il rock anni ’90 unito ad una certa negatività romantica ed esistenzialista su toni melodicamente intuitivi ed arrangiamenti sorprendentemente interessanti. Un esordio migliore non si poteva avere.
Passata la sua fase da “fenomeno”, ormai trovato il suo posto nell’ambiente musicale, Poppy si appresta a studiare un suono che meglio possa servire le sue effettive capacità compositive, quelle pre-esistenti e che dicono ben più di quanto ha comunicato finora la sua immagine dirompente. Trova il suo ideale in un hard rock/alt rock lontano dal metal e da ogni sarcasmo metatestuale: padroneggia il genere e si regge senza problemi come cantante “adulta”. Non la ferma nessuno.
I CHVRCHES elaborano gli ultimi due anni trasformando l’orrore emerso dalla comunicazione via social obbligatoria in quarantena in un concept da film horror post-moderno ma con temi (e musiche) anni ’80. Un percorso geniale che non manca mai di forti espressioni melodiche e di una solidità d’arrangiamento ormai collaudata. Il trio inanella il quarto album riuscito di fila.
22. Black Honey – Written & Directed
Tra le nuove realtà del rock inglese quella dei Black Honey afferra maggiormente l’idea di un rock and roll spontaneo e giocoso, senza pretese, energico e puramente giovanile. Il gruppo mostra con quanta facilità si può fare rock nel 2021 senza doversi perdere in elucubrazioni ma anche soltanto mescolando, ancora una volta, riff di chitarra e ritmi giusti.
21. Nation of Language – A Way Forward
I newyorchesi Nation of Language ci riportano indietro di almeno quarant’anni con un synthpop asettico e schematico che ricorda le produzioni di OMD, Heaven 17 e New Order. Il miglior album synth dell’anno, un esercizio di stile nostalgico che suona però sorprendentemente fresco e appetibile, adatto perciò tanto ai nuovi ascoltatori come ai fan storici del genere.
Per qualche imperscrutabile ragione, il pubblico ancora non si è accorto di Remi Wolf. Male, perché l’artista è quanto di più eccentrico e schizofrenico si possa trovare nella musica pop di oggi. Il suo stile comprende variazioni musicali folli che prendono da funk, elettronica, rap, jazz e qualunque altra cosa, sullo scarto di una personalità incontrollabile e fuori da ogni schema. Riscopritela subito.
Sì, è proprio lui. Una volta lo conoscevamo come Kanye West, ma sappiamo che nel suo caso non si può dar mai niente per certo. Lo stesso vale per il suo ultimissimo album, Donda: un ritorno inaspettato (e attesissimo) dopo anni di promesse e progetti astrusi, che manco a dirlo si rivela colmo di proposte interessanti e mostra un Ye ancora una volta perfettamente a suo agio nei panni del rapper generazionale semi-divino e super-produttore rivoluzionario. Non un disco che cambierà la storia, ma perfettamente all’altezza di ciò che ci si aspetta dal buon vecchio Yeezy.
18. Sleaford Mods – Spare Ribs
Gli inarrestabili Sleaford Mods continuano a migliorare costantemente proponendo un post-punk sempre più essenziale e sempre più venefico, british fino al midollo ma anche in qualche modo lontano da ogni cliché contemporaneo del genere. I loro punti forti: riff meccanici, ritmi incisivi e l’accento spettacolare di Jason Williamson.
A dieci anni di carriera e più, la sempre malinconica Lana riesce nel miracolo di far suonare ancora fresca ed originale una formula musicale da lei sfruttata in ogni minima variazione possibile. Anche questo suo ultimo album, con le idee giuste (e il contributo considerevole di Jack Antonoff), rende giustizia alla sua figura artistica e le consente di tenere ben salda la sua presa sul mainstream.
16. Shame – Drunk Tank Pink
Gli incontrollabili e incrollabili Shame si confermano come una delle più solide realtà del nuovo post-punk, producendo un lavoro che in termini di vigore e potenza espressiva trova davvero pochi rivali. In Drunk Tank Pink non trovano importanza tanto i tratti revival del genere quanto la pura elaborazione della difficoltà dei tempi che viviamo. Tempi affrontati, necessariamente, con rabbia.
Certo, dal secondo album della cantante americana manca l’elemento novità che aveva fatto la fortuna del primo, ma non per questo Happier Than Ever si configura come meno impegnativo, intelligente ed intrigante. I toni bassi e sussurrati del dark pop di Billie Eilish fanno da contraltare ad una maturità raggiunta in fretta e che, musicalmente e non, la costringe quasi suo malgrado a dover sempre guardare più avanti ed arrivare prima degli altri. Cosa che, del resto, non manca mai di fare.
14. Bicep – Isles
Con il loro secondo album i Bicep svelano tutte le loro capacità come compositori IDM e sfornano in scioltezza il miglior lavoro elettronico dell’anno. Una sintesi perfetta di suoni originali e compositi organizzati in brani sottilmente dance ma anche profondi e introspettivi. In altre parole: come dovrebbe suonare (e infatti suona) la migliore elettronica nel 2021.
Nick Murphy riprende il nome con cui è diventato famoso, quello di Chet Faker, per un disco che lo ritrova al meglio delle sue capacità. Il suo soul elettronico si arricchisce di esperienze tradizionali e anni ’70 per un grande dipinto a pastelli che suona come un disco progettato per chi della musica ama suoni, sfumature e soprattutto colori. Un totale trionfo artistico.
I London Grammar compiono il grande salto di qualità con il loro terzo album, che vede l’eterea voce di Hannah Reid trovare la sua dimensione ideale in un indie atmosferico e seducente dai tratti melodici introspettivi e cangianti. L’album trascina definitivamente il gruppo nel mainstream e ce lo mostra nella sua miglior versione possibile (finora).
Uno dei più bizzarri e al tempo stesso più riusciti esperimenti dell’anno: per il suo disco dark pop/anti pop neo-femminista Halsey chiama i Nine Inch Nails (Trent Reznor e Atticus Ross), che con lei elaborano una musicalità industrial pop auto-ironica ma anche tagliente e corrosiva, che convince in ogni più piccolo passaggio. La prova definitiva di come oggi la parola “pop”, con ogni aggettivo vicino, possa promettere veri e propri miracoli.
Al loro quarto album i Django Django si confermano i campioni della neo-psichedelia moderna, con un suono melodicissimo e più che mai sfaccettato che coinvolge in ogni traccia. Scartato il loro passato psych-western, non più prigionieri degli arrangiamenti folk con percussioni fantasiose di ogni tipo, i quattro accolgono definitivamente computer e suoni digitali nell’arricchimento di un suono di per suo del resto già florido. Il risultato non può che essere un arcobaleno di suoni che sprizza idee e invenzioni straordinarie a ogni nota.
9. Dry Cleaning – New Long Leg
Ossia: l’eccellenza della nuova scena post-punk inglese. Il carisma teatrale della cantante Florence Shaw, che recita le sue liriche come in una rappresentazione d’avanguardia, fa da perno ad una musica intrigante e già matura, che rilascia tanta energia quanta modesta spontaneità, esprimendo una certa disillusione giovanile colmata però presto da una adeguata contro-proposta: la loro è una musica che guarda decisamente a qualcosa di veramente concreto da realizzare; non al nulla.
Il secondo album di Sam Fender è un completo trionfo di rock inglese contemporaneo e nostalgico al tempo stesso. Un rock che è in gran parte ancora “heartland”, vicino allo stile di un Bruce Springsteen ma in qualche modo comunque irrimediabilmente britannico. Il cantautorato di Fender è emotivo, profondo e ricercato, chitarristico dove serve ma soprattutto poetico. Da qui in poi, questo artista non si potrà più ignorare.
Semplicemente: Tyler Okonma. Il rapper e produttore seguita a voler fare esattamente e solamente quello che vuole. Questo lo rende completamente incontrollabile ed incontrollato, proprio come questo suo nuovo album: un caos completo di trovate sonore intricatissime mescolate all’usuale stile rap iconoclasta, ironico e paradossale, che si risolve in un insieme di produzioni come al solito di altissimo livello e, a dir poco, da perderci la testa. Niente di meno da aspettarsi da lui.
Con il loro secondo lavoro i Black Midi si confermano una delle realtà più appassionanti (e appassionate) del rock sperimentale odierno. E non solo rock, del resto, perché il loro Cavalcade sembra davvero, come da copertina, l’equivalente musicale di una tela realizzata da un Kandinsky particolarmente sbronzo. Ma non bisogna farsi trarre in inganno: nel disordine c’è ordine, un ordine anarchico ed esasperato. Un trionfo di pura ispirazione musicale che va in tutte le direzioni e in nessuna contemporaneamente.
Il terzo album dei Royal Blood è un completo trionfo della loro crescita: lo stoner rock spigoloso e distorto al quale ci hanno abituati si trasforma qui in una musica adulta, suonata con perizia tecnica e maturità compositiva, ricca di idee e spunti ma non per questo meno vigorosa e assordante. Nel 2021 il duo inglese raggiunge l’apice della propria creatività: speriamo sia solo l’inizio di un lungo periodo d’oro.
Un esordio a dir poco brillante per la giovane e talentuosissima Arlo Parks, forte del suo caratteristico stile definibile bedroom R&B esteso su una collezione di canzoni semplici e raffinate al tempo stesso. Arlo incede nei brani con una voce gentile, delicata e soffice che sfiora le musicalità sopraffine in un trionfo di spontaneità e leggerezza. Un primo disco così onesto non si sentiva da anni.
3. Squid – Bright Green Field
Forse parlare, nel caso degli Squid, di disco post-punk dell’anno e anche di esordio dell’anno sarebbe improprio. Perché quello che la band inglese propone è un suono che in qualche modo trascende ogni limitazione del genere e mostra allo stesso tempo quanto poco ci voglia, oggi, perché una band rivoluzionaria sorga praticamente dal nulla per cambiare tutte le carte in tavola. Nient’altro da dire: un lavoro eclatante e stupefacente.
La completa e totale affermazione nel mainstream dei Wolf Alice è al contempo anche la realizzazione di tutte le loro possibilità espressive al di là di ogni pretesa avanzata da qualunque rock revival e “ritorno delle chitarre”. Perché questo Blue Weekend è un disco fortemente personale, che vede Ellie Rowsell (con la sua voce potentissima) esporsi come leader della formazione in quanto simbolo di un rock che, nel 2021, può essere aggressivo e fragile al tempo stesso. La chiave per il futuro, qualcuno potrebbe dire. E non solo in musica.
Con il primo album della carriera la super-formazione inglese Black Country, New Road compie un vero e proprio miracolo. La band riesce a fare musica sperimentale senza essere tediosa; teatro che non sia retorico; poesia che non è scontata. La tecnica, i virtuosismi e le invenzioni compositive si compongono in un equilibrio perfetto che smantella ogni preconcetto e aspettativa dimostrando con alacrità che la musica “artistica” nel 2021 può non solo esistere, ma anche essere autenticamente originale.