West Side Story: Recensione del remake di Steven Spielberg
La critica internazionale accoglie il remake di West Side Story di Steven Spielberg come un nuovo classico, uno dei migliori Musical di sempre. Ecco la nostra recensione.
La novità da non perdere per questo Natale al cinema è West Side Story di Steven Spielberg, in sala dal 23 Dicembre. Un remake che poteva esaurirsi in una semplice, gradevole operazione nostalgia, e che si rivela invece uno dei migliori Musical di sempre, destinato a scrivere una nuova pagina negli annali della Storia del Cinema americano.
Nel 1957 il musical di Arthur Laurens, con testi di Stephen Sondheim e musiche di Leonard Bernstein, porta per la prima volta la cruda realtà di un dramma sociale a Broadway. Quindi, nel 1961 quello straordinario successo teatrale diventa West Side Story di Robert Wise e Jerome Robbins, film che cambia per sempre anche la Storia del Musical come genere cinematografico.
Esattamente sessant’anni dopo Steven Spielberg, impegnato a sognare fin da bambino la sua versione di West Side Story, riporta sul grande schermo questo imprescindibile classico, premiato con 10 premi Oscar, tra cui quello di Rita Moreno, prima interprete portoricana mai premiata agli Academy Awards.
La stessa Rita Moreno, oggi splendida novantenne, rappresenta il legame vivente tra l’originale e il remake di Steven Spielberg. Se nel 1961 era stata infatti una indimenticabile Anita, torna oggi nella parte di Valentina, la versione femminile del vecchio personaggio Doc.
Si tratta di una delle rarissime infrazioni nella sceneggiatura scritta dal premio Pulitzer Tony Kushner con la collaborazione diretta dello stesso Stephen Sondheim, scomparso il 26 Novembre 2021, a sole due settimane dall’attesissima premiere americana del film.
La versione di Spielberg e Kushner, infatti, resta estremamente fedele dall’originale, in termini di trama, intreccio e numeri musicali. Il senso ultimo del remake non va rintracciato quindi nell’idea di aggiornare una storia immortale al giorno d’oggi. Piuttosto, nella scelta di aggiornare il linguaggio audiovisivo all’estetica e le nuove tecnologie del Cinema contemporaneo.
West Side Story di Steven Spielberg si libera così del teatro di posa, dello scenografie e del trucco. Il musical torna a invadere le strade di New York e del New Jersey, le coreografie sembrano letteralmente esplodere sul grande schermo, mentre Spielberg sceglie di esaltare al massimo le potenzialità del formato panoramico e della profondità di campo.
West Side Story: La trama
New York, West Side, fine degli anni ’50. Mentre gli edifici vengono demoliti e il piano di riqualificazione urbana strappa tante famiglie dalle proprie case, sulle strade si scontrano le gang dei Jets, capitanata da Riff (Mike Faist), e quella dei portoricani Sharks, guidata dal pugile Bernardo (David Alvarez).
Tony (Ansel Elgort) è stato al fianco di Riff fin da bambino, insieme hanno creato la gang, ma dopo un anno di galera vuole rigare dritto e tenersi alla larga dalle risse. Del tutto inaspettatamente, a un ballo incontra Maria (Rachel Zegler), la sorella di Bernardo. Pur sapendo di scatenare “la terza guerra mondiale”, tra i due ragazzi l’amore è troppo forte perché possano resistere.
La loro relazione diventa la scusa perfetta perché gli Sharks e i Jets organizzino lamischiadefinitiva. Uno scontro all’ultimo sangue per il controllo del territorio. Tony cerca di fermare tutto, ma finirà solo per uccidere accidentalmente Bernardo, che a sua volta aveva ucciso Riff.
Anita (Ariana DeBose), la compagna di Bernardo, avverte Maria che se sceglie di restare con Tony nessuno potrà ormai perdonarla. Il destino degli star-crossed lovers, gli amanti maledetti dal destino, è ormai irrimediabilmente segnato.
West Side Story: Recensione
Nella meraviglia del formato panoramico, che dal Technicolor dell’epoca diventa il moderno Panavision, Spielberg riporta West Side Story a una dimensione larger than life, più vera del vero, regalando allo spettatore una serie infinita di brividi, risate e lacrime, per celebrare il grande ritorno alla vita di un classico, o forse l’Arte del Cinema stessa.
Dramma sociale, commedia musicale e tragedia shakesperiana, per una nuova versione in parole, immagini e musica di Romeo e Giulietta. Questo era il cuore pulsante di West Side Story, la formula esplosiva del Musical che ha cambiato per sempre le regole del gioco.
La direzione scelta da Spielberg per il suo remake è chiara fin dalla sequenza di apertura. Sulle macerie del West Side incombe la ruspa e una gigantesca wrecking-ball, la palla demolitrice. Un cartello annuncia il piano di riqualificazione dei sobborghi urbani. Eppure, anche se a breve dovranno lasciare le loro case, Sharks e Jetts continuano a combattere.
Avrebbero in realtà ben due nemici comuni. Il primo è la polizia, razzista con gli immigrati latino-americani che non parlano inglese, detti spics, sprezzante anche con quei ragazzi che considerano white trash, spazzatura bianca, una massa indistinta di ubriaconi, piccoli criminali e perdigiorno, tutti troppo pigri per cogliere le opportunità del sogno americano.
Il secondo nemico è invece invisibile ma letale. È quel piano di riqualificazione che spazzerà via i poveri e i loro alloggi per far spazio al Lincoln Center, trasformando il vecchio l’Upper West Side nel quartiere residenziale scenario del cinema di Woody Allen, o magari delle serie Sex and city, Gossip Girl.
Nella sequenza di apertura quei ragazzi emergono allora letteralmente dal sottosuolo, da una botola del cantiere, carichi dei barattoli di vernice che hanno rubato. Mentre avanzano per le strade con incedere baldanzoso, i loro passi si trasformano in danza. Raggiungono il muro dov’è dipinta la bandiera di Puerto Rico, iniziano a imbrattarla. Arrivano gli Sharks, e così la battaglia.
West Side Story: Modernità e tradizione di un nuovo classico
A differenza dell’originale diretto da Robert Wise e dal coreografo Jerome Robbins nel 1961, Spielberg recupera il realismo dei corpi e dello scontro fisico. Ma non saranno solo le risse tra gang a perdere i tratti più edulcorati della commedia musicale.
In generale, l’intero remake moltiplica gli interpreti, le comparse e i ballerini di fila, e così l’impatto delle coreografie. Ma soprattutto, si libera di tutti gli elementi più artificiali, per restituire tutta l’intensità e la verità delle emozioni umane al realismo magico del Musical.
L’incontro o meglio la fusione atomica di passato e presente, modernità e tradizione, si rivela proprio nell’incontro di Tony e Maria, alias Ansel Elgort e Rachel Zegler.
Nessuno sembrava immaginare che Ansel Elgort, il protagonista di Baby Driver – Il genio della fuga e Colpa delle stelle fosse anche un cantante eccezionale. La sua interpretazione di Tony resta la più moderna, quella che rompe la finzione scenica, quasi si trattasse davvero di un ragazzo innamorato che improvvisamente inizia ballare, cantare direttamente dal cuore.
Al contrario l’esordiente, giovanissima Rachel Zegler è una soprano d’impostazione classica dall’impressionante potenza vocale, capace di cercare i più alti vertici di una interpretazione drammatica. La coppia si compone allora di due elementi, due stili canori apparentemente incompatibili, che pure sembrano fondersi in un incantesimo audiovisivo praticamente perfetto.
In generale il cast, selezionato da Spielberg dopo una lunga serie di audizioni e provini, proseguiti nel corso di oltre un anno, si compone di una serie di interpreti eccezionali. Tanto che per la maggior parte di loro, è facile prevedere una pioggia di nomination agli Oscar.
Noi ci sentiamo di scommettere su Ansel Elgort ma soprattutto sulla nuova Anita, Ariana De Bose, attrice afro-portoricana che è una autentica forza della natura. E la presenza di una donna nera nel cast ci conduce poi a un altro degli elementi determinanti del remake di Steven Spielberg.
Se il cineasta si libera completamente degli spazi angusti e della finzione scenica, ritrovando nelle strade di una New York ormai scomparsa la vera co-protagonista di West Side Story, azzera anche le piccole assurdità imposte dalla Hollywood dell’epoca.
Una su tutte, la scelta di una protagonista bianca, Natalie Wood, dipinta dal trucco perché sembri portoricana, quindi doppiata dalla soprano Marnie Nixon in tutti i numeri che prevedano performance canore.
Anche da questo punto di vista, il nuovo West Side Story rispecchia la nuova industria cinematografica americana, sempre più attenta a offrire degna rappresentazione a tutte le minoranze, tutte le differenze di genere, etnia e orientamento sessuale.
West Side Story supera perfino le più alte aspettative
Perfino i costumi vengono investiti dal cambiamento. Mostrano finalmente i ragazzi di strada quali realmente erano, poveri, logori e sporchi. Sembrerà forse un dettaglio infinitesimale, eppure l’insieme di tanti cambiamenti piùo meno sottili riporta West Side Story alla sua rivoluzionaria essenza.
Se la natura rivoluzionaria del Musical era possedere insieme denuncia sociale e sentimento, Spielberg centra allora la quadratura del cerchio tra una grandiosa opera d’intrattenimento popolare e un film che conserva un messaggio profondo, autentico, espressione delle assurdità delle discriminazioni e del razzismo, oggi più attuale che mai.
Se la colonna sonora, intesa come musica, dialoghi e suono ambiente, è sempre stata un elemento fortemente espressivo nel cinema di Steven Spielberg, da Incontri ravvicinati del terzo tipo a Schindler’s list e Salvate il soldato Ryan, il cineasta realizza così, alla fine dell’anno 2021, il suo prezioso sogno d’infanzia.
E non si limita a firmare un remake praticamente perfetto. Firma un nuovo classico. Ovvero, il raro esemplare di un’opera che, secondo la definizione di Italo Calvino, saprà sempre parlare attraverso lo spazio e il tempo, attraversando epoche diverse, diverse culture, senza mai perdere la sua forza dirompente.