Gli ultimi mesi hanno visto Netflix sperimentare tra cinematografie semi-dimenticate, rimestando tra produzioni una volta impensabili nell’ottica del servizio (dal bianco e nero fino al muto d’autore). Lo spazio riservato ai titoli più oscuri si allarga di settimana in settimana: pochi i capolavori assoluti, molti i cult diretti a studiosi e appassionati.
Dopo Francia e Scandinavia, è ora il turno del mystery e dell’horror britannico, precisamente di una mezza dozzina di semi-dimenticati titoli per lo più recuperati dagli anni ’50. Il più in vista del gruppo è senza dubbio Il Circo degli Orrori di Sidney Hayers, gioiello proto-splatter e prima, importante risposta del Regno Unito a uno scenario horror in quel periodo dominato dalla raffinatezza barocca di Mario Bava e dell’industria continentale.
Il sanguinario e demente carosello di torture e freaks segna l’avvenuto cambio di passo rispetto al gotico letterario delle precedenti proposte: con Circus of Horror si aprono gli schizzati anni ’60, e da ora saranno solo Vincent Price e Christopher Lee, Michael Reeves e Ken Russell.
Dal trionfo di La La Land, il nome di Damien Chazelle sembra essere parzialmente uscito dai radar.
Arrivato così in fretta, tempo appena due film, a ridefinire in maniera forse irreversibile una tradizione apparentemente moribonda come quella del musical, l’autore americano si è come trovato di fronte a una precoce crisi creativa: consapevole di aver forse raggiunto già l’apice del proprio personale discorso sul cinema musicale, Chazelle sembrò quasi voler dare ragione ai suoi detrattori, accantonando brutalmente il jazz per buttarsi sul “cinema serio” – ovvero, su commissione.
Uno scarto di tono mirato a voler dimostrare chissà che, e inevitabilmente destinato a perdere qualcosa. First Man fu dunque un flop sorprendente, insospettabile visto il successo delle opere precedenti. E ovviamente, immeritato.
Anche nel meno personale dei suoi lavori, i temi e i leitmotiv dell’autore rispuntano forti (la sfida come ossessione autodistruttiva, la monomania resa attraverso il suono e il montaggio): un film di transizione, forse – ma ad avercene.
Per chi ama Tre Uomini e una Gamba (cioè tutti), è necessario ogni tanto affiancare all’ennesima revisione il film che, più o meno di nascosto, ispirò il debutto al cinema dell’ultimo grande gruppo comico italiano della sua generazione.
Il trionfo del 1997 a firma Massimo Venier deve infatti moltissimo (dallo spunto di partenza, a diverse gag copincollate) a National’s Lampoon’s Vacation, quasi per caso caricato oggi su Netflix assieme al suo remake-omaggio italiano.
Altra fondamentale opera di traduzione dal comico al televisivo, nel film del 1983 Harold Ramis riuscì forse per l’unica volta a declinare il talento di Chevy Chase sul grande schermo, consegnandogli uno dei sui pochissimi ruoli extra-televisivi. Prototipo del road movie demenziale, della macchina lanciata in mezzo al nulla, della meccanica comica dei conflitti in uno spazio in movimento: un classico che avrebbe fatto saga, ma val la pena partire e chiudere qui.