La prima stagione della serie ispirata a Fondazione crea un universo a sé stante, che funziona ma scontenterà gli appassionati della saga
Cominciamo dall’inizio: la serie Fondazione, adattamento del ciclo di romanzi di Isaac Asimov, è fedele all’originale? No, o meglio: molto poco. Più che di un adattamento, si potrebbe parlare di una libera ispirazione; che, dei racconti di Asimov, riprende personaggi, situazioni, contesti ma non necessariamente tematiche e ragionamenti.
Il che ci potrebbe stare, considerando che il primo romanzo della serie, Fondazione, è uscito nel 1951, cioè settant’anni fa. Da allora sono cambiate parecchie cose e la serie ne prende giustamente atto. A cominciare dal cambio di sesso e di etnia di vari protagonisti (Salvor Hardin, Gaal Dornick) passando per una presenza femminile più importante e una certa dose di terzomondismo.
Ma la differenza principale non sta tanto qui, quanto nella concezione del Piano Seldon e della psicostoria che dovrebbe prevedere il futuro della Fondazione e l’esatto percorso di nascita del Secondo Impero Galattico. Chi ha letto i romanzi sa bene di cosa parliamo e qui, per molti fedelissimi e appassionati, cascherà l’asino.
Perché l’assunto della psicostoria di Hari Seldon, così come concepito da Asimov, prevede che sulla lunga distanza a contare siano non le azioni dei singoli individui (che divengono solo strumenti della storia) ma le evoluzioni delle grandi masse di persone. Qui, in questa serie di AppleTV+, avviene il contrario.
Nella serie sono le scelte dei singoli individui che contano; e del resto non potrebbe essere altrimenti essendo la serie il prodotto di un’era di fortissimo individualismo e narcisismo quale quella che stiamo vivendo. Il clima dei primi anni ’50 negli Stati Uniti era ben differente: c’era un senso di comunità, conformismo e appartenenza.
Oggi non è più così ed ecco perché il famoso detto “La violenza è l’ultimo rifugio degli incapaci” viene prontamente smentito. Bisogna combattere, rischiare, sacrificarsi. La storia non è più al di sopra degli individui, ma a fianco a loro se non al di sotto di loro. Ma, di nuovo: essendo noi nel 2021, difficilmente si sarebbe potuto fare altrimenti.
E però non tutto il male viene per nuocere, decisamente. A partire dalla scelta di Jared Harris (il beneamato compagno Legasov di Chernobyl) per interpretare il saggio ma controverso Hari Seldon. Anche l’idea della dinastia genetica degli imperatori Cleon è buona, perché consente di avere un punto di vista privilegiato sulle cause e le modalità di crollo dell’Impero Galattico.
I temi esplorati sono molti, dall’idea di famiglia a quella di tradizione; la necessità di un’organizzazione politica e sociale (della quale, di questi tempi, molti credono di poter fare a meno); l’emancipazione delle minoranze e la comunione dei popoli in virtù di una crescita congiunta, in un’etica non dissimile da quella di Star Trek.
Se quindi da una parte Fondazione segue dei romanzi originali sono le premesse essenziali, i produttori si mostrano comunque in grado di ragionarci sopra con intelligenza e preparazione, ricavandone spunti interessanti e attuali. Unica altra, grande pecca: le languide e prevedibili storielline d’amore tra i personaggi, davvero evitabili e completamente inessenziali per la trama.
In definitiva: un prodotto da premiare, anche per il coraggio di aver affrontato un’opera tanto impegnativa. Di certo la serie è diversa dai romanzi, sì: ma non è necessariamente un male, visti i risultati. Adesso c’è solo da vedere se la seconda stagione seguiterà a narrare coerentemente l’evoluzione del Piano Seldon.