Siamo allo scadere del secolo. Le follie apocalittiche pre millennio che hanno influenzato i temi e le sonorità di Signify volano fuori dalla finestra e, in contemporanea, giunge l’album del cambiamento. Forse in modo provocatorio, forse no, i Porcupine Tree abbracciano la svolta “pop”, abbandonando progressività e psichedelie.
Solo in parte, ovviamente. Le psichedelie progressive non sono ancora del tutto fuori dalla porta e pezzi come Don’t Hate Mee Tinto Brass ne sono un perfetto esempio. Salvo questi due episodi, però, Stupid Dream si mostra nella veste di un album più orecchiabile, più vicino a sonorità pop ma assolutamente non meno curato.
Esempio portante ne è la opening Even Less. Ci ritroviamo così di fronte ad una sorta di “pop-rock” di avanguardia (quanto odio le categorizzazioni musicali) che tra delicatezze acustiche e melodie catchy innesta massicce e travolgenti bordate metalliche, portando con sé il preambolo della “musica del futuro”.
5 – Lightbulb Sun: Russia On Ice
Meno pop del predecessore ma ancora sulla linea dell’orecchiabilità, Lightbulb Sun sarà un album discusso e, forse, non esattamente gradito specie dai fan di più vecchia data. Nonostante ciò, specie con il senno di poi, è impossibile non vederne un tassello coerente e fondamentale della storia evolutiva del gruppo.
Mentre le classiche sonorità più acustiche sono ancora presenti, le distorsioni vanno ad infittirsi ed indurirsi. Il metal fa, per la prima volta, realmente capolino nella discografia dei porcospini proponendo una variegata tavolozza di sonorità.
Ne è un perfetto esempio la raffinatissima Russia on Ice. Traccia dalla doppia identità, divisa tra coinvolgenti e toccanti momenti di apertura corale quasi “floydiana” e progressioni dure, incisive ed ansiogene miste ad accattivanti psichedelie. Letteralmente il fermo immagine della loro carriera.
4 – In Absentia: The Sound of Muzak
Quel Metal che in Even Less faceva timidamente capolino trovando conferme nella durata di Lightbulb Sun fiorisce, questa volta, definitivamente con In Absentia portando con sé un masterpiece nella discografia dei Porcupine Tree. Un diamante ricco di valori, idee ed opere di pregevole fattura.
Difficile scegliere in un ambasciatore in un album che nei suoi primi venti minuti di riproduzione sfida l’ascoltatore con tracce del calibro di Blackest Eyes, Trains e The Sound of Muzak. La scelta, però, nonostante numerose indecisioni non può non ricadere sulla “musica del futuro” narrata da quest’ultima.
Con il genio di Gavin Harrison a prendere il posto di Matiland alle pelli ci ritroviamo in un pezzo dove groove e poliritmie la fanno da protagonista. Il progressive torna di moda più che mai nei Porcupine Tree in una chiave che miscela metal ed “acusticità” in modo senza precedenti (e senza successori).
The Sound Muzak si mostra così in una veste elegante e sinuosa, ricca di una sonorità strutturata e matura, travolgente e mistica al tempo stesso. Sicuramente uno dei momenti più alti della discografia dell’albero di porcospini.