Zlatan è un biopic che si concentra sulla difficile infanzia che ha temprato la personalità così unica di Zlatan Ibrahimovic e sul suo esordio come calciatore professionista. Il film è stato presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma, in concorso nella Selezione Ufficiale, ed uscirà nelle sale l’11 novembre 2021
Trama
Tratto dall’omonima autobiografia, Zlatan ripercorre i primi passi di un giovane Ibrahimovic. Dai banchi di scuola fino al Malmö BI, e quindi all’esordio europeo nell’Ajax e infine all’approdo italiano alla Juventus, il film ripercorre le tappe della formazione di un vero e proprio guerriero, scavando nelle pieghe del suo infelice passato.
Tra questi rappresentano un sottogenere ancora minore quei film che rinunciano alla componente più smaccatamente auto-celebrativa, per sondare territori spesso più intimi e personali. L’eterna parabola dell’uomo e l’artista, sostituita da quella dell’uomo e l’icona. Molti film quindi abbandonano la narrazione epica dell’eroe per addentrarsi nella storia personale, e sorprendentemente Zlatan è uno di questi.
Un ritratto di famiglia
Stupisce che il primo film su uno dei calciatori dalla personalità più debordante sia in realtà un intimo ritratto di famiglia. Con Zlatan abbiamo la risposta a cosa significhi essere figlio dell’immigrazione in Svezia, e di quanto una situazione disfunzionale in casa possa trovare l’unico sfogo in un campetto da calcio.
Jens Sjörgen ha quindi scelto, dall’omonima autobiografia, le pagine più delicate da portare sul grande schermo per il suo I Am Zlatan. Una ricostruzione convincente di quel microcosmo in cui Zlatan Ibrahimovic è nato come uomo e come calciatore, scontrandosi con una realtà che l’ha costretto a crescere e a temprare il carattere e il carisma che oggi tutti amiamo in questo giocatore praticamente mitologico.
Zlatan è quindi un’opera che può essere analizzata da un punto di vista strettamente filmico. Non è insomma un film che si esaurisce nella sua funzione, ma che anzi dimostra di essere pregevole sia in fase di scrittura che di direzione. La storia del giovane Ibra è quindi divisa in tre atti: l’infanzia fino all’arrivo al club della sua città , il Malmö BI; l’adolescenza e la convocazione in prima squadra; gli anni dell’Ajax e l’incontro determinante con il procuratore Mino Raiola.
Una narrazione non-lineare miscela continuamente queste tre fasi in cui si può scandire l’arco di vita coperto da I Am Zlatan, secondo uno schema di montaggio che si rivela efficace. Permette di donare tridimensionalità al personaggio, arricchendo la sua caratterizzazione di dettagli in ogni sequenza e da più punti di vista, ma allo stesso tempo svela l’infaticabile coerenza di Ibrahimovic incapace, nel bene e nel male, di scendere a compromessi con se stesso. Il ripresentarsi eterno di certi comportamenti, che si muovono come dei veri e propri motivi ricorrenti, ne è la riprova.
La regia si è potuta esprimere quindi con continue analogie, che raccordano le varie sequenze temporalmente distinte con similitudini visive o concettuali. Come è il padre ad ammonirlo, “cambiare senza cambiare mai”: quella camera a mano che segue prima il piccolo Ibra di spalle entrare in campo, e poi lo cerca con la stessa inquadratura ormai professionista, trova proprio questa verità . Tutto si trasforma, tutto resta uguale.
Da questo punto di vista Jens Sjörgen dimostra sicurezza sia negli episodi calcistici, che risultano fluidi e naturali, sia nei contrappunti logori e miseri delle riprese in interno, che fanno da sfondo ai drammi famigliari in cui Zlatan è nato e cresciuto.
I Am Zlatan, ma Zlatan non c’è
In quegli ambienti famigliari troviamo due diversi Zlatan. Dominic Bajraktari Andersson ne veste i panni pre-adolescenziali, mentre Granit Rushiti porta in scena un Ibrahimovic ormai adulto. Al di là della somiglianza più o meno marcata, entrambi gli attori si sono dimostrati estremamente capaci di raccogliere quell’attitude che ha reso Zlatan il personaggio che è oggi, e a declinarla secondo la fase della sua vita che si trovano ad incarnare.
Anche le altre prove attoriali sono pregevoli, specie ovviamente quelle di Gedomir Glisovic e Merima Dizdarević, che più dei protagonisti trasfigurano, rispettivamente, nel padre e nella madre del campione. Il grande assente è quindi Ibrahimovic in persona. Questo conferma la totale mancanza di quel registro auto-referenziale che trova inevitabili corrispondenze nel documentario, nelle immagini di repertorio. Zlatan non è un film sulla leggenda, ma sull’uomo che vi sta dietro, ed è assolutamente rispettabile la scelta di Ibra di fare un passo indietro.
E tutto il resto…
Solo nel finale c’è qualche concessione a vecchi e indimenticabili ricordi, così impressi nella memoria collettiva da andare inevitabilmente a sostituirsi alla finzione. Su tutti, quel gol memorabile che gonfia la rete dietro Davy Schollen, portiere del NAC Breda, dopo che Ibra ha ubriacato gli avversari con una serie di finte consecutive. L’Eredivisie era solo alla seconda giornata, ma per Ibra il campionato olandese si chiudeva in anticipo: si spalancavano le porte di quella Serie A alla quale ancora oggi ha ancora tanto da restituire.