Il nome – e il successo – di Dan Brown è un tipo di fama che è imprescindibile non tanto dalla sua mera produzione, ma soprattutto dal personaggio che ha saputo creare e che ora torna in Dan Brown – Il simbolo perduto.
Il corpus delle opere di Dan Brown è sormontata dal peso de Il codice da Vinci, un thriller storico che ha raggiunto un’ampia fetta di pubblico grazie al film di Ron Howard in cui il protagonista Robert Landgon era interpretato da Tom Hanks.
L’attore tornò a interpretare il professore esperto di simbolgia negli altri due film Angeli e Demoni e Inferno, capitolo quest’ultimo che sembra aver messo la parola fine all’avventura cinematografica di Robert Langdon.
Il professore, però, è ora pronto a tornare sul piccolo schermo grazie alla serie Dan Brown – Il simbolo perduto, che debutta su Sky l’8 Novembre e che vede Ashley Zuckerman vestire i panni di Langdon.
Il simbolo perduto, la trama
Composta da dieci episodi, Dan Brown – Il simbolo perduto vede Robert Langdon trovarsi invischiato in una serie di enigmi – alcuni dei quali potenzialmente letali – per cercare di salvare la vita al vecchio mentore Peter Solomon (Eddie Izzard).
La sua ricerca sarà in qualche modo alternata a quella condotta dalla CIA, convinta com’è che dietro questo rapimento ci sia una cospirazione molto più grande, che affonda le proprie radici nella leggenda.
Ad aiutare Langdon a disfare il puzzle in cui si trova coinvolto c’è Katherine (Valorie Curry), figlia di Solomon che sembra avere per Robert un vero e proprio debole.
Su tutto incombe la misteriosa figura di Mal’akh che è la “creatura” che ha spinto Robert Langdon a iniziare il pericoloso gioco che sancirà la vita o la morte per il mentore del professore di Harvard.
Il simbolo perduto: recensione
Un nuovo Robert Langdon
Dan Brown – Il simbolo perduto è una serie che cerca di fare leva sugli elementi che hanno sancito il successo de Il codice da Vinci.
Lo spettatore si trova così di fronte a un racconto che procede per enigmi, per misteri che solo una mente particolarmente acculturata può sperare di risolvere.
Questo fa sì che l’esperienza di visione passi soprattutto attraverso la curiosità e la voglia di scoprire non tanto come evolverà la storia, ma soprattutto come farà Robert Langdon a risolvere gli ostacoli che gli si porranno sulla strada.
Ed è proprio in Robert Langdon che si può ricercare forse l’elemento migliore della serie televisiva, che andrà in onda su Sky ogni lunedì, con due episodi a settimana.
Nell’immaginario collettivo Robert Langdon è profondamente legato alla fisionomia di Tom Hanks, per cui la prima sfida da affrontare era quella di non cercare di “imitare” ciò che si era visto sul grande schermo.
Da questo punto di vista è stata saggia la scelta di slegarsi in modo quasi totale dalle precedenti avventure di Langdon e anzi creare un personaggio meno maturo, un eroe in divenire che ha dei tratti che quasi lo fanno somigliare a un giovane Indiana Jones.
Il Robert Langdon di Dan Brown – Il simbolo perduto è un giovane professore di Harvard, che a tratti sembra smarrito nel suo stesso ruolo. Un protagonista in fieri, che sembra costruirsi man mano che lo spettatore segue le sue avventure.
Questo fa sì che la serie possa discostarsi un po’ dal materiale di origine, allungarlo in modo da renderlo più adatto al racconto seriale, che ha bisogno di un ritmo e di una struttura ben precisi.
Una serie canonica, ma dal ritmo irresistibile
Dan Brown – Il simbolo perduto è una serie che a un primo sguardo sembra non voler offrire molto più rispetto ai molti prodotti seriali che puntano al giallo e al thriller.
Tanto per la messa in scena quanto per le dinamiche dei protagonisti la serie TV che debutta su Sky non brilla certo per originalità e non offre particolari “idee” che possano prendere di sorpresa lo spettatore, che riesce facilmente a indovinare alcune strutture narrative sin dal primo episodio.
Ma non sempre si è alla ricerca di una serie innovativa e del tutto originale: a volte quello che si vuole è solo un prodotto che presenti una certa familiarità, che intrattenga senza alzare chissà quali pretese e velleità artistiche.
E da questo punto di vista Il simbolo perduto funziona a meraviglia: fa il suo lavoro e intrattiene, tenendo viva quella curiosità che serve per serie incentrate sugli enigmi.
A funzionare, invece, è il ritmo: ogni episodio – che ha una durata che si aggira intorno ai 45 minuti – fila via con una scorrevolezza e una fluidità che farebbe invidia a prodotti molto più famosi e/o osannati.