Il successo di Squid Game (leggi qui la nostra recensione) non sembra accennare a fermarsi.
Nonostante sia la serie di cui tutti parlano, c’è ancora un’ampia fetta di pubblico che non si è avvicinata a questa serie coreana e che probabilmente si chiede a cosa sia dovuto questo successo.
Siamo davanti a un capolavoro? Si tratta di una serie che ha cambiato il modo di intrattenere il pubblico o di raccontare una storia? No, niente di tutto questo. Ma a volte non serve rivoluzionare un genere per arrivare a un’ampia fetta di pubblico: a volte basta semplicemente far bene il proprio lavoro.
Squid Game non è una serie particolarmente originale – vi abbiamo raccontato film, serie TV e libri che hanno elementi simili – né il pubblico è del tutto nuovo all’idea del survival game. Eppure SquidGame continua a registrare consensi. Come mai?
Il potere del passaparola
Uno degli elementi di cui bisogna tener conto quando ci si interroga sul successo di Squid Game è il passaparola. Non a caso all’interno della serie i giocatori vengono scelti con un meccanismo molto simile.
In un’epoca sempre più connessa – che questo sia un bene o un male è irrilevante ai fini della questione – le community di spettatori non seguendo più le voci degli “esperti” quando si tratta di scegliere cosa vedere.
Le recensioni dei critici vengono sempre più spesso messe all’angolo, per cui un utente si fiderà sempre di più di quanto vede o legge online o di quello che sente dire ai suoi amici rispetto a quello che può leggere su un giornale.
Non a caso il passaparola ha un’origine militare: era un modo utilizzato dai soldati per diffondere velocemente e in modo sicuro un ordine o una serie di informazioni. Ha dunque un qualcosa di standardizzato e di rituale: se sentiamo qualcuno che parla di qualcosa, vogliamo vedere coi nostri occhi, vogliamo in qualche modo partecipare alla conversazione.
E questo è il primo punto a favore dello show coreano: prendendo il via da uno spunto narrativo che è sicuramente pieno di fascino per il pubblico, ha potuto fare affidamento sul passaparola.
Ad oggi tutti stanno vedendo Squid Game perché è l’argomento di cui tutti parlano: e il risvolto della medaglia è che quando un argomento è di dominio pubblico e tutti ne stanno parlano, una fascia di pubblico prova un senso di esclusione. Ed è proprio per placare questo sentimento di essere stati esclusi che si continua a vedere lo show.
La depressione e il capitalismo
Mentre mette in scena dei giochi estremamente violenti – per cui anche il voyeurismo ha la sua parte nel successo della serie TV -, Squid Game parla di un argomento molto più diffuso: il capitalismo.
Come sa bene chi ha visto la serie – attenzione spoiler! – gli Squid Game si basano sul concetto di uguaglianza. Una delle cose che viene sottolineata con maggior insistenza è il fatto che durante i giochi i giocatori sono tutti uguali.
Non c’è denaro, posizione sociale o corruzione che possa cambiare questo status quo: negli Squid Game si vince solo grazie al proprio merito e alle proprie capacità. E al modo di sfruttare tali capacità, morali o amorali che siano questi modi.
Un discorso che affonda le proprie radici in una cultura come quella coreana dove il capitalismo ha creato una spaccatura all’interno della società, per cui si possono vedere appartamenti da miliardari in centro a Seoul e anziani che non si possono permettere di andare in pensione perché non hanno di che cibarsi.
Un esempio, quest’ultimo, dimostrato molto bene dalla madre del protagonista, che è costretta a lavorare nonostante l’età e il fisico richiederebbero un maggior riposto.
Nonostante il capitalismo e la divisione sociale sia un problema molto diffuso in Corea, è comunque un tema che può abbracciare tutto il mondo.
Crisi finanziari, gender gap, tasse sempre più alte: la corsa al consumo e all’arricchimento di pochi sulle spalle di molti è un argomento che, anche a livello inconscio, ci attrae perché rappresenta una versione del mondo che viviamo.
Squid Game: tra disperazione e violenza
Insieme al discorso sul capitalismo si può aprire una parta anche sulla disperazione.
Tutti i personaggi che vengono chiamati in causa – chi più e chi meno, ça va sans dire – sono tutti personaggi che per un motivo o per un altro sono stati “costretti” ad accettare di partecipare ai giochi.
Cosa che si vede molto bene nel secondo episodio dello show, quando i protagonisti hanno l’occasione di tirarsi indietro e ricominciare la propria vita.
Nessuno di loro lo fa: questo perché anche se è facile pontificare sul fatto che nessuno abbia messo una pistola alla tempia dei partecipanti per costringerli a partecipare, quando non hai soldi per mantenerti o possibilità di vivere in modo dignitoso è come se, di fatto, non avessi scelta.
Il pubblico si trova quindi a fare il tifo comunque per una manciata di uomini e donne senza speranza, perché tifare per loro significa forse auto-convincersi che c’è sempre una possibilità di tirare avanti, di farcela. In mezzo al sangue e alla violenza, Squid Game regala una cupa speranza.
E ovviamente l’altro elemento di cui si deve parlare quando si è alla ricerca dei motivi per il successo di Squid Game è dovuto anche all’ampio utilizzo della violenza.
Una violenza che è resa ancora più acida e corrosiva perché parte da giochi infantili, da giochi destinati ai bambini che sono – nell’immaginario collettivo – la forma di vita più pura e innocente. Ma nel mondo di Squid Game nessuno è davvero innocente e nessuno è puro. Anche nel personaggio di Alì, che è senza dubbio il più puro di tutti, vive una scintilla di criminalità che, sebbene dettata dalla disperazione di cui parlavamo poco più su, coopera a renderlo un colpevole.
Vittime e carnefici si trovano dunque ad abitare lo stesso spazio narrativo: e tutti sono sia prede che cacciatori. E questo da allo show un altissimo tasso di tensione che invita al binge watching, al divorare forsennato degli episodi che compongono Squid Game.
Il fascino dell’Oriente
Non va nemmeno sottovalutato il fatto che ai giorni d’oggi c’è una fetta di pubblico sempre più ampio che si lascia affascinare dai prodotti pop e culturali che provengono dalla Corea.
Un cambiamento di rotta che è facilmente dimostrabile dalla vincita di Parasite dell’Oscar come miglior film, o all’elezione di Bong Joon-ho come presidente di giuria dell’ultima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
Ancora: il gruppo musicale dei BTS ha avuto un enorme successo anche all’estero, in questo Occidente che spesso ha guardato a Est con un senso di malcelata superiorità.
Quindi non va sottovalutato il fatto che Squid Game sia uscito su Netflix in un periodo decisamente fertile alle produzioni sudcoreane.