Bè, non proprio da solo: lasciata la prima moglie, Cynthia (e con un figlio, Julian), Lennon riconosce la sua anima gemella nell’artista giapponese Yoko Ono. Ed è proprio lei ad alimentare la sua personale visione di un’arte emancipata sia dall’ingenuità dei lezi amorosi di I Wanna Hold Your Hand (1964) che dalle giovanili sperimentazioni con le droghe allucinogene di I Am the Walrus (1967) e compagnia.
Infatti dichiara in God (1970), forse in assoluto la sua canzone più impegnativa: “I was the walrus / But now I’m John”. Con il nuovo decennio il suo carattere intemperante ed anticonformista esplode. Al confronto la volta in cui, con i Beatles, chiede ai più abbienti tra il pubblico di un elegante concerto di scuotere i loro gioielli anziché battere le mani, è nulla.
E negli anni ’70 non è più tempo per le hit e per le classifiche. “I don’t believe / In Beatles” dichiara, sempre in God. Per lui arriva il tempo delle riflessioni proletarie di Working Class Hero, dell’inno da manifestazione Power to the People, del classico pacifista Give Peace a Chance; e, naturalmente, della sua canzone idolatrata oltre ogni dire: Imagine.
Tra i bed-in assieme a Yoko e le infinite partecipazione a manifestazioni di protesta e sodalizi e amicizie con figure chiave del movimento hippie, John non gestisce la sua carriera in maniera brillante. Mentre le fan adolescenti dei Beatles (ormai cresciute) si domandano ancora cosa mai sia successo a quel bel ragazzo un po’ sfacciato ma divertente che le aveva conquistate, John si avvia verso la sua imprevista fine.
E sembra un po’ destino, a pensarci: non riusciamo ad immaginare come uno come lui avrebbe potuto adattarsi agli anni ’80. Lui così radicale, ostinato, testardo, irriverente. In qualche modo, tutta l’era hippie e tutta la cultura degli anni ’60 muoiono, defintivamente, assieme a lui sotto i colpi di pistola di Mark David Chapman.
Che cosa rimane? Un personaggio originale, eternamente scontento e proprio per questo artista geniale tra i geni, innovatore e pensatore illuminato. Non è un caso che, tra quelle dei Beatles, le sue siano sempre le canzoni più atipiche, quelle che più osano. Una leggenda, insomma, per eccellenza. Un mito senza tempo, uno degli uomini più influenti mai vissuti. Oppure, forse, solo un “ragazzo geloso”, chissà.