Di Film apocalittici e Monster Movie di bassa lega negli ultimi anni ne abbiamo visti davvero tanti. Tuttavia Del Toro riesce a discostarsi dalla mediocrità di questo tipo di produzioni e riesce a tirar fuori un film tra i migliori nel suo genere. Nella produzione di questo lungometraggio, il regista messicano mette in campo tutta la sua passione per la cultura nipponica, ispirandosi a Neon Genesis Evangelion e Il Grande Mazinga. La trama, sebbene semplice, intrattiene grazie alla potenza visiva messa in scena, e grazie all’impronta personale conferita dal cineasta al film, che amalgama scene d’azione con momenti distensivi, a tratti divertenti. Queste scene allentano la tensione dei continui combattimenti tra i Jaeger, gli enormi robot creati per difendere la Terra dalla minaccia rappresentata dai giganteschi Kaiju, terrificanti creature che provengono dal fondo dell’Oceano.
I personaggi umani riescono a tenere la scena anche, nei momenti dove non si combatte. Questo grazie soprattutto a un Ron Perlman in grande spolvero, perfettamente calato nel personaggio che l’ormai amico Del Toro gli ha cucito addosso. Visivamente Pacific Rim è figlio della fantasia del suo regista. Il design dei vari Jaeger riporta alla mente tutti i grandi robot della storia dell’animazione giapponese, rivisitati in salsa moderna, creando un connubio capace di catturare sia i nostalgici che i neofiti. I Kaiju, dai tratti lovercraftiani, ispirazione che connota tutta la filmografia di Del Toro, sono terrificanti ma maestosi. Gli scontri fisici, girati in maniera frenetica, potente ma allo stesso tempo estremamente chiara sono la ciliegina sulla torta del film.
La cura maniacale con la quale Del Toro ha creato ogni singola inquadratura determina uno spettacolo visivo che rende questo Pacific Rim una vera perla nello sconfinato universo che sono i Monster Movie, troppo spesso di basso livello. Il contatto neurale tra i due piloti che guidano gli Jaeger e i conseguenti problemi tra i vari personaggi creano infine il collante che tiene insieme tutta la sceneggiatura e rende assolutamente apprezzabili anche i momenti di calma del film. Concept che verrà ripreso, con risultati mediocri, nel secondo film della saga, dove è palese l’assenza di un grande cineasta come Del Toro dietro la macchina da presa.
Dopo il successo di Blade II, nel 2004 Guillermo Del Toro firma il suo più celebre cinecomic: Hellboy, opera che denota un approccio assolutamente innovativo al genere. Il cineasta messicano è stato un fan del demone rosso fin da bambino. Per questo, l’adattamento cinematografico del fumetto creato da Mike Mignola per la Dark Horse Comics si fonda su una rilettura del tutto personale. Tanto personale che il creatore di Hellboy si dirà piuttosto perplesso, per poi entrare apertamente in conflitto col regista. Questa serie di divergenze determineranno la chiusura della trilogia, interrotta dopo il secondo capitolo, Hellboy – The Golden Army. Ma per quanto Mignola non condivida la visione di Del Toro, per gran parte della critica, si tratta dei migliori cinecomic di sempre.
Del Toro sceglie come protagonista il suo attore feticcio: Ron Perlman. Insieme costruiscono una figura decisamente inedita, che rispetto al classico film di supereroi presenta più chiaroscuri e maggiore approfondimento psicologico. Hellboy diventa così in tutto e per tutto una creatura di Del Toro: un mostro dai sentimenti umani, ma soprattutto un diverso, che soffre terribilmente la sua condizione di emarginazione dalla società. Il film approfondisce il rapporto tra Red e il padre adottivo, il Prof Bruttenholm, interpretato da John Hurt. Ma soprattutto, rivela tutte le sfumature della personalità di Hellboy, strano esemplare di Chaotic Good.
Il carattere adolescenziale, imprevedibile ed esplosivo dell’Hellboy di Del Toro si rivela nelle schermaglie amorose con Liz ma anche nel rapporto con l’amico Abe. Il cineasta sceglie un approccio innovativo proprio nella definizione dei personaggi secondari, che normalmente risultano solo figure accessorie. Ma soprattutto, dilata i tempi del racconto e presenta una struttura personale e innovativa, che non si fonda esclusivamente sulle sequenze d’azione, ma lascia ampio margine agli elementi della commedia e del dramma.
Il risultato è talmente eclettico che è destinato a fare scuola. E per i fan di Guillermo Del Toro, resta ancora impossibile accettare un Hellboy che non appartenga al suo immaginario.
Cronos è l’opera prima di Del Toro, girata con un budget bassissimo. Tuttavia, nonostante i mezzi limitati, in quest’opera si vedono molti di quelli che saranno i capisaldi del cinema del regista messicano. La storia ruota intorno ad uno strano artefatto, in grado di donare la vita eterna e chi lo utilizza, e che finisce nelle mani di un ignaro venditore di antiquariato. Gli attori protagonisti, sebbene non molto rinomati, ad eccezione del sempre ottimo Ron Perlman, vengono guidati in maniera sapiente in ogni scena e ogni dialogo dal regista, che cuce perfettamente i ruoli sui propri interpreti, rendendo ogni momento del film assolutamente plausibile e veritiero, non facendo mai trasparire la mancanza di budget, sebbene alcune inquadrature avrebbero potuto soffrire della scarsissima quantità di risorse.
La storia, che può intesa come una rivisitazione deltoresca del mito del vampiro, ha connotati abbastanza classici, un oggetto ambito da una persona molto potente e malvagia viene difeso da un eroe casuale, ma riesce comunque a coinvolgere e stupire. Il rapporto tra l’anziano antiquario e la sua nipotina, oltre che al delicatissimo amore tra il nostro protagonista e la sua compagna, creano una perfetta amalgama tra una storia che si basa sul paranormale, vissuta da persone normali con vite normali. Caratteristica questa che sarà la base dei film migliori della carriera di Del Toro.
La componente fantastica è il vero fulcro del film. Partendo dagli splendidi dettagli dell’interno dell’artefatto magico e del suo funzionamento, passando per le scene che mostrano il mutamento del corpo e dell’essenza dell’utilizzatore a seguito di determinati traumi, fino all’inquadratura finale, nella quale Del Toro dà sfoggio di tutta la sua enorme, seppur ancor acerba, abilità dietro la macchina da presa, ogni componente paranormale di questo universo così semplice rende Cronos una piccola perla del cinema del regista messicano. Vedere per credere.