I BADBADNOTGOOD tornano con un disco jazz tradizionale che, purtroppo, non ha molto da dire
Talk Memory è il primo album dei BADBADNOTGOOD da tre anni a questa parte. Rimasti in tre, i jazzisti canadesi scartano ogni elemento di nu jazz dal proprio stile per dedicarsi, invece, ad una produzione di stampo più tradizionale. Meno tecnica, più atmosfera, zero (o quasi) elettronica e arrangiamenti digitali.
Questo loro quinto album è quindi per certi versi un lavoro più adatto agli intenditori in grado di apprezzare uno stile più a metà strada tra il free jazz, l’ambient e i toni classicheggianti; la presenza degli attenti arrangiamenti del compositore brasiliano Arthur Verocai fa venir voglia di utilizzare anche l’espressione Third Stream.
Sicuramente il disco non ha nulla da farsi perdonare in termini di raffinatezza, ricercatezza e completezza di composizione e di esecuzione. Quello che un po’ manca, purtroppo, è la caratteristica impronta coinvolgente con la quale i BADBADNOTGOOD si sono fatti notare a inizio carriera.
Nella tracklist infatti l’unico brano realmente intrigante sembra essere Beside April (con relativa Reprise), in pratica il solo ad esprimere una melodia interessante e significativa. Fa eccezione forse anche la leggera e introspettiva Timid, Intimidating, che mostra il complesso al suo meglio, senza featuring ingombranti e dedito a una musicalità essenziale.
Il resto del disco dice poco ed è un peccato se si considera che con l’ultimo lavoro, IV (2016), i BADBADNOTGOOD figuravano tranquillamente nella lista dei migliori artisti jazz contemporanei assieme a, per fare dei nomi, Shabaka Hutchings, Esperanza Spalding, Vijay Iver o Nubya Garcia.
Con questo nuovo album i tre sembrano di certo essersi adattati ad una dimensione più propria, liberatisi dall’hype per l’attesa dei loro nuovi lavori che di certo interessava ed interessa un vasto pubblico; pubblico che li segue da un decennio e più come fenomeni di culto. Forse, semplicemente, non è questo che ai BADBADNOTGOOD interessa essere.