Meglio così: Les Carabiniers è ovviamente un capolavoro (impossibile dire altrimenti, visto il clamoroso periodo di riferimento), fondamentale presa di posizione da parte del più teorico dei nerd francesi nei confronti di una delle annose questioni del cinema: la legittimità del war movie.
Altri tempi, in cui il valore semiotico della rappresentazione cinematografica coinvolgeva autori e critici in dibattiti infiniti sulle potenzialità del mezzo. Nel 1963, Godard tentò il disinnesco definitivo della feticizzazione della violenza militare, in un anti-film di guerra ovviamente irricevibile. Da studiare.
Nel Centro del Mirino – Wolfgang Petersen (1993)
Avviato ai cento anni, Clint Eastwood sta oggi mandando in sala il suo Cry Macho – ennesimo ritorno in scena da protagonista, seguito all’ennesimo addio alle scene (questa volta il film del ritiro designato era The Mule). Tanto vale prepararsi con uno dei suoi maggiori successi della terza età , recupero obbligatorio all’interno dell’assai fortunata corrente di thriller mainstream anni ’90.
Tra un Soldato Ryan e l’altro, nella colossale ondata di film-Oscar proposti da Netflix per il mese di ottobre, L’Età dell’Innocenza è quello che più di tutti rischia di passare sotto i radar.
Due decenni dopo l’esplosione autoriale, gli anni ’90 furono il periodo in cui gli ex enfants terribile della New Hollywood cercarono la consacrazione commerciale e i premi a lungo negatigli in terra natia; e mentre Spielberg collezionava Oscar come francobolli, il povero Scorsese cannava un progetto dopo l’altro.
Dopo il trionfo di Goodfellas, l’autore newyorkese aprì una fase produttiva criticamente sfortunata, fissandosi su progetti sempre più grandi (e paraculi); l’Oscar divenne una sorta di dichiarata ossessione personale, destinata a tormentarlo almeno per i successivi quindici anni (fino a The Departed). L’Età dell’Innocenza è ad oggi il film che aprì la stagione del “cinema di sistema” scorsesiano: elegante e tronfio, bellissimo e spesso poco capito.