L’Accademia della Crusca, la più antica accademia linguistica del mondo costituita il 25 marzo 1585 a Firenze, è un’istituzione italiana che raccoglie insieme tutti i più importanti filologi ed esperti della lingua nostrana e si impegna a dare esplicazioni per quanto riguarda grammatica, glossario e simili.
L’ultimo intervento in ordine cronologico è quello che riguarda la schwa, ovvero sia la e al contrario utilizzata al termine delle parole onde evitare di scegliere un genere per i termini e aumentando dunque l’inclusività. In alternativa a questo sempre più spesso vediamo parole terminare con l’asterisco. Ebbene, la Crusca si è espressa in modo negativo su questa tendenza, spiegando che, nella lingua italiana, è preferibile comunque utilizzare il maschile plurale.
È senz’altro giusto, e anzi lodevole, quando parliamo o scriviamo, prestare attenzione alle scelte linguistiche relative al genere, evitando ogni forma di sessismo linguistico – scrive il linguista Paolo D’Achille. Ma non dobbiamo cercare o pretendere di forzare la lingua – almeno nei suoi usi istituzionali, quelli propri dello standard che si insegna e si apprende a scuola – al servizio di un’ideologia, per quanto buona questa ci possa apparire.
L’italiano ha due generi grammaticali, il maschile e il femminile, ma non il neutro, così come, nella categoria grammaticale del numero, distingue il singolare dal plurale, ma non ha il duale, presente in altre lingue, tra cui il greco antico. Dobbiamo serenamente prenderne atto, consci del fatto che sesso biologico e identità di genere sono cose diverse dal genere grammaticale. Forse, un uso consapevole del maschile plurale come genere grammaticale non marcato, e non come prevaricazione del maschile inteso come sesso biologico (come finora è stato interpretato, e non certo ingiustificatamente), potrebbe risolvere molti problemi, e non soltanto sul piano linguistico. Ma alle parole andrebbero poi accompagnati i fatti.