La cover è un’arte tutta particolare: una canzone re-interpretata può regalare risultati completamente nuovi ed originali
Cover. La re-interpretazione dei brani e delle musiche di altri artisti secondo uno stile proprio. Un’arte che risale a prima della tecnologia di registrazione: avere un repertorio basato su classici e standard scritti da altri, ma renderli propri, è da sempre pratica comune di interpreti e artisti valenti per le loro doti canore e di esecuzione.
Per decenni e secoli le orchestre hanno riproposto opere classiche ma variando a seconda della visione del direttore d’orchestra; e nel ‘900 gli artisti jazz e blues si sono fatti strada rubandosi le canzoni e omaggiandosi a vicenda a non finire. Arriviamo quindi alla musica “moderna”, quella su 33 giri, dagli anni ’50 in poi circa.
Di canzoni celeberrime ce ne sono un’infinità e cantarle e risuonarle è sempre un piacere. Le canzoni dei Beatles, tanto per fare un esempio, sono state re-interpretate un’infinità di volte. Ma che dire di quando un artista riesce a fare anche meglio dell’originale, dando alla canzone una nuova vita e persino rendendola ben più famosa della prima versione?
Ecco quello che andremo a scoprire qui: artisti che, cimentandosi con vecchi successi noti e meno noti, li hanno re-inventati, facendoli scoprire ad un pubblico tutto nuovo e, di riflesso, portando rinnovato successo anche all’autore e/o interprete originale. Ecco quindi le 10 migliori cover di canzoni (pop/rock/soul, lasciamo da parte il jazz, blues e affini) mai realizzate.
Questa cover di Bob Marley realizzata da Eric Clapton è uno dei motivi, negli anni ’70, dell’esplosione del fenomeno reggae e della popolarità del cantante giamaicano a livello mondiale. Clapton lo rende famoso con la sua cover, anche se di certo Marley e i suoi Wailers non hanno bisogno di sostegni di questo tipo per distinguersi con il loro stile caratteristico. In ogni caso, si tratta di un’ottima cover.
8. Carlos Santana – Black Magic Woman (Fleetwood Mac)
Black Magic Woman è uno dei più grandi classici del primo Santana, ma molti non sanno che si tratta di una canzone originariamente scritta da Peter Green ed interpretata con i Fleetwood Mac. La sua versione naturalmente trae il meglio dalla sua magica chitarra, accodandovi anche un’altra cover: Gypsy Queen di Gábor Szabó.
6. Joe Cocker – With a Little Help from My Friends (The Beatles)
Non è un segreto: questa mitica canzone di Paul McCartney è molto più famosa nella lenta versione soul cantata da Joe Cocker che nell’originale interpretato da Ringo Starr. Cocker debutta la sua versione proprio a Woodstock, nel 1969, e da allora è diventata la cover per eccellenza di tutto il repertorio dei Beatles.
5. Soft Cell – Tainted Love (Gloria Jones)
Questa canzone è tanto automaticamente legata al repertorio del duo synthpop Soft Cell che quasi nessuno sa da dove viene in realtà . Trattasi di una composizione di Ed Cobb, registrata nel 1964 dalla cantante inglese Gloria Jones. Già un buon successo all’epoca, con la versione dei Soft Cell diviene celeberrima ed è questa quella che oggi tutti conosciamo.
4. Johny Cash – Hurt (Nine Inch Nails)
Quasi alla fine della sua vita il mitico Johnny Cash si cimenta con questo brano, partendo da un originale che, composto da Trent Reznor, deriva da un ambito industrial metal. Un genere diversissimo, una grande sfida. Eppure, Cash comprende perfettamente il messaggio del testo e la sua versione è meravigliosa. Lo stesso Reznor avrebbe poi commentato: “Pelle d’oca”.
2. Whitney Houston – I Will Always Love You (Dolly Parton)
Ebbene sì: per i pochi che non lo sapessero, I Will Always Love You non è una canzone di Whitney Houston; ossia, non scritta originariamente per lei. In originale è stata cantante (e composta) da Dolly Parton, nel 1973, in una versione country ben diversa da questa. Inutile dire che la performance vocale della Houston ha portato il brano a tutto un altro livello.
1. Jeff Buckley – Hallelujah (Leonard Cohen)
In pochi casi nella storia un artista è riuscito davvero a catturare cuore e anima dell’opera di un suo predecessore in maniera tanto intensa. L’emozione che Jeff Buckley lascia trasparire nella sua disperata interpretazione dell‘Hallelujah di Leonard Cohen è talmente coinvolgente da rappresentare il punto più alto della carriera di un artista che del resto già nella sua produzione autoriale tocca cime incredibili. Ed è quindi tutto dire.