Queen’s Gambit, ovvero La Regina di Scacchi, è stato un progetto vincente fin dal titolo. In un panorama saturo come quello dell’offerta televisiva contemporanea, metà del lavoro atto a distinguersi e spiccare sta nella scelta di un selling point originale: e non si poteva certo dire che il gioco degli scacchi avesse goduto di grande spazio da protagonista negli anni.
La Regina degli Scacchi ha dunque capitalizzato alla grande grande sull’intuizione di partenza (i pezzi sono evocati fin dal titolo originale), valorizzando con maestria altri grandi trope della narrativa contemporanea. C’è quindi il revival della guerra fredda rievocato in costume; la questione del corpo femminile nel Novecento americano; e ovviamente, il racconto sempreverde del genio disfunzionale portato al limite dal proprio dono-maledizione (archetipo questo tipico del cinema supereroistico, sottogenere che ha ormai definitivamente imposto i suoi stilemi anche al di fuori della produzione di consumo Disney-Marvel).
Ora che la seconda stagione è stata ufficialmente smentita, eccovi dieci consigli per ricostruire le principali influenze alla base del prodotto, dai suoi autori letterari agli epigoni più recenti, con un occhio rivolto alle produzioni individuali degli artisti coinvolti.
10 Film da vedere se hai amato La Regina degli Scacchi
Lo Spaccone – Robert Rossen (1961)
All’origine di tutto, va ricordato come la base di Queen’s Gambit resti il testo di Walter Tevis; autore forse poco prolifico e relativamente meno celebrato rispetto ad altri, ma capace di trovare nel cinema un successo forse preclusogli nel mondo della letteratura.
Sei libri, quatto adattamenti, almeno due classici assoluti – produzione più che sufficiente per identificare una poetica fatta di monomania sportiva e professionale, e dell’alienazione autodistruttiva sua conseguenza indiretta.
L’uomo che cadde sulla Terra – Nicolas Roeg (1976)
L’altro grande adattamento di Tevis al cinema è sicuramente L’Uomo che Cadde sulla Terra di Nicolas Roeg, semi-capolavoro apparentemente lontanissimo dalla vicenda di Elizabeth Harmon.
In realtà , basta un po’ di attenzione per scorgere nelle pieghe e i manierismi da sci-fi di fine settanta (ma il libro originario era del decennio precedente) i prodromi di quel racconto di perdizione e isolamento in una mente suo malgrado superiore – già calato nel grigio contesto dell’Occidente paralizzato della contrapposizione dei blocchi.
Tra le mille altre cose, il film resta ad oggi l’apice del David Bowie cinematografico; sempre più presente a partire dagli anni ’80, mai più così grande e centrato come per Roeg.